Se non fosse da ridere sarebbe da piangere. Ho letto in questi giorni vari commenti che prendono spunto dalla straordinaria affermazione di Zohran Mamdani nelle elezioni a sindaco di New York per dire che anche la sinistra italiana tutta, non solo Avs, M5s ma anche il Prc e tutte le altre formazioni dovrebbero rientrare di buon grado nei ranghi del campo largo. Di fatto un invito alla normalizzazione politica. Lasciamo perdere.
Mandami si dichiara apertamente socialista, si è schierato contro il genocidio del popolo palestinese e il colonialismo di Israele, ha vinto con un programma radicale (lotta al carovita, blocco del prezzo degli affitti, servizi per l’infanzia per tutti, trasporti gratuiti, tassazione della rendita finanziaria e dei grandi patrimoni) dopo aver messo fuori quello che originariamente era il candidato dell’establishment e del Partito democratico Usa Andrew Cuomo. Questo non significa farsi illusioni, che tutto andrà liscio. Occorrerà verificare la congruità tra programmi e atti concreti del nuovo sindaco e della sua amministrazione, scopriremo strada facendo, ma intanto credo che debbano essere evidenziati due dati di queste elezioni. Il primo riguarda la partecipazione elettorale che è stata la più alta da quasi sessant’anni a questa parte. L’altro dato riguarda il voto dei quartieri popolari che è andato massicciamente a Mamdani. La radicalità di un programma imperniato sulla riaffermazione di alcuni diritti sociali fondamentali ha rimotivato buona parte dell’elettorato popolare. Insomma quanto avvenuto è l’esatto contrario di ciò che da anni succede nelle elezioni italiane: sempre minore affluenza stante una politica “tutta uguale” e un elettorato popolare che non vota il Pd (e il centrosinistra) diventato ormai da tempo il partito delle fasce sociali più abbienti (lo dicono le indagini elettorali).
L’esito delle elezioni newyorkese risultato sembra essere più l’avvisaglia di una crisi di sistema piuttosto che una sua conferma. Il capitalismo finanziario statunitense, nelle sue diverse componenti e connotazioni politiche, non sta bene. L’incertezza e il malessere sociale a fronte di un sistema totalmente privatizzato si sta allargando a macchia d’olio. La vittoria di Mamdani, senza farsi facili illusioni sulla capacità effettiva di imprimere un cambiamento – i cambiamenti intervengono innanzitutto sul piano dei rapporti sociali prima ancora che sul piano elettorale -, è in ogni caso il segno di una incrinatura dell’ordine esistente e della necessità di risposte alternative. Di queste risposte c’è più che mai bisogno anche in Italia. Altro che rientrare nei ranghi politici! L’alternativa al sistema dato diventa possibile oltre che necessaria a partire dalla ripresa di una più forte mobilitazione sociale.
Di seguito riportiamo un primo commento apparso su FB di Alessandro Volpi, docente universitario all’Università di Pisa che di recente ha pubblicato il libro “la guerra della finanza. Trump e la fine del capitalismo globale” .
Alessandro Volpi
L’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York meriterebbe moltissime considerazioni, a partire da quella relativa alla straordinaria affluenza al voto, la più alta da 50 anni, a dimostrazione, forse, che solo con proposte davvero radicali è possibile rimobilitare la partecipazione elettorale, in particolare delle fasce con redditi più bassi. Ma io vorrei soffermarmi su un paio di aspetti peraltro tra loro collegati. Il primo ha a che fare con la reazione isterica di gran parte della stampa e dei media italiani. I grandi saggi Mieli, Rampini, la mobilitata redazione del “Sole 24”, la grande famiglia della Rai, il pensoso Molinari si sono immediatamente prodigati nel sostenere che la vittoria di un socialista musulmano nella Grande Mela, oltre ad essere una profonda sciagura, rappresenta un unicum non certo trasferibile al caso italiano dove, affermano in coro, si vince correndo al Centro ed evitando estremismi perdenti. Ora, varrebbe la pena ricordare a questa aulica compagnia di “liberal” che, in realtà le proposte “eversive” di Mamdani sono state parte integrante del patrimonio della Sinistra italiana dalla Costituente fino alla conclusione degli anni Settanta (Servizi pubblici gratuiti, indicizzazione delle retribuzioni, salari minimi, asili e nidi gratuiti, piani di edilizia popolare, calmiere degli affitti ed equo canone, tutela dei diritti individuali e collettivi). La pensavano così infatti Di Vittorio, Trentin, Berlinguer, i tanti sindaci rossi a cominciare da Zangheri, Ingrao, Lombardi, ma anche La Pira, Moro e un eretico radicale come Ernesto Rossi. La pensavano così anche i movimenti che dalla metà degli anni Novanta hanno provato a rispondere alla ondata socialmente durissima della globalizzazione. Il patrimonio di Mamdani è dunque ben radicato nella cultura politica della Sinistra e del pensiero sociale del nostro paese che, come il neo sindaco, erano convinti della necessità di coinvolgere il mondo degli intellettuali in maniera organica, secondo la migliore tradizione gramsciana. Il vero problema è che poi gran parte della Sinistra italiana ha abbandonato questa visione per aderire appunto al modello neoliberale dove l’assunto principale era la competizione di mercato e l’abbattimento del carico fiscale per i ricchi. Ma pure su questo Mamdani sostiene una linea cara alla vera Sinistra che parlava di fisco negli anni 50 e 70, e a cui non sarebbe certo stata estranea l’idea di portare l’aliquota per coloro che hanno un reddito annuo superiore al milione di dollari dal 3,9 al 5,9 e quella sulle società dal 7,2 all’11%, procedendo al contempo ad una maggiorazione degli oneri di urbanizzazione e delle imposte immobiliare nelle aree di New York più ricche. Dunque il vero punto per la futura Sinistra italiana è riconoscere in Mamdani la parte migliore e più efficace della propria storia, resistendo all’offensiva dei liberali terrorizzati da un giovane sindaco molto più che da Trump perché quel sindaco ha risposto al centro il tema cruciale: la Sinistra deve essere capace di rappresentanza di classe, intesa come quella estesissima fascia di popolazione ormai in condizioni di precarietà e di costante minaccia di povertà. E allora “alziamo il volume”.