Testo Unico Edilizia: il silenzio assenso è l’anticamera del condono

Oggi il Testo Unico sull’Edilizia (DPR 380/2001) affronta in Parlamento una riforma che, dietro lo specchietto per le allodole della semplificazione, nasconde un’operazione di puro condono mascherato.
Il punto focale della critica ruota attorno all’uso distorto dell’istituto del silenzio assenso, che da strumento di efficienza burocratica si trasforma in un lasciapassare per l’abusivismo edilizio.
La norma in discussione mira a estendere il meccanismo del silenzio assenso anche a sanatorie di abusi formali e a lievi difformità, bypassando di fatto i controlli preventivi e la necessità della “doppia conformità” (conformità sia alle norme vigenti al momento della realizzazione dell’opera, sia a quelle attuali).
Si tratta di un condono indiscriminato.
Il problema non è solo tecnico, ma etico e ambientale. L’edilizia italiana è già gravata da una piaga storica di illegalità.
Affidarsi all’inerzia della Pubblica Amministrazione (PA) per legittimare opere che potrebbero non rispettare i vincoli paesaggistici, sismici o idrogeologici è un azzardo inaccettabile.
La giurisprudenza ha già chiarito in passato che il silenzio della PA non può sanare abusi in aree vincolate, dove il parere delle autorità competenti è obbligatorio e vincolante.
La riforma, se approvata, creerà un pericoloso precedente: chi costruisce illegalmente potrà sperare nell’intasamento degli uffici tecnici comunali per ottenere una sanatoria automatica.
Si premia l’irregolarità a discapito di chi rispetta le regole e si scarica sui funzionari pubblici la responsabilità di un controllo capillare, spesso impossibile con le risorse attuali.
Invece di combattere l’abusivismo con controlli efficaci e certezza della pena, il legislatore sceglie la via della sanatoria per inerzia, un vero e proprio condono tombale che mina la legalità del territorio e la sicurezza dei cittadini.
Un provvedimento inopportuno che arriva al voto con troppe ombre e l’odore acre del cemento illegale.