Sahara Occidentale: come Washington e Abu Dhabi finanziano l’economia di un’occupazione illegale

Tratto da Solidarité Maroc

Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) si apprestano a lanciare un’offensiva economica di ampia portata nel Sahara Occidentale, territorio classificato dalle Nazioni Unite come territorio non autonomo e occupato in gran parte dal Marocco dal 1975. Appoggiandosi agli USA, attraverso meccanismi finanziari pubblici e imprese private, Abu Dhabi contribuisce a istituzionalizzare uno sfruttamento economico illegale, in diretta violazione del diritto internazionale.
Al centro di questa strategia vi è un’alleanza attualmente in fase di strutturazione tra fondi sovrani emiratini, imprese statunitensi e la US International Development Finance Corporation (DFC), agenzia pubblica statunitense di finanziamento dello sviluppo creata nel 2019. La DFC interviene abitualmente in contesti considerati troppo rischiosi dal settore privato. Il suo coinvolgimento nel Sahara Occidentale mira precisamente a neutralizzare il rischio giuridico legato all’occupazione del territorio.

Un’economia costruita contro il diritto internazionale
Il Sahara Occidentale è riconosciuto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) come un territorio il cui processo di decolonizzazione non è mai stato portato a termine. In assenza di un referendum di autodeterminazione, il Marocco non dispone di alcuna sovranità riconosciuta sul territorio.
La Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito già nel 1975 l’assenza di qualsiasi legame di sovranità tra il territorio e il Marocco. Da allora, la giurisprudenza delle Nazioni Unite e dell’Unione europea è costante: qualsiasi sfruttamento delle risorse naturali in un territorio non autonomo è illegale senza il consenso libero ed esplicito del popolo interessato, in questo caso il popolo saharawi.
Eppure, i progetti attualmente negoziati:

  • si svolgono senza alcuna consultazione del popolo saharawi,
  • escludono totalmente il Fronte Polisario, riconosciuto dall’ONU come legittimo rappresentante del popolo saharawi,
  • si basano esclusivamente su istituzioni marocchine imposte nel territorio occupato.

Emirati Arabi Uniti: investitori e attori politici
I principali attori emiratini coinvolti sono due grandi fondi sovrani:

  • ADQ (Abu Dhabi Developmental Holding Company): holding pubblica che controlla asset strategici degli Emirati;
  • ADIA (Abu Dhabi Investment Authority): uno dei più grandi fondi sovrani al mondo, presieduto da Tahnoun bin Zayed Al Nahyan, fratello del presidente emiratino Mohamed bin Zayed Al Nahyan (MbZ).

Entrambi sono già fortemente presenti in Marocco e cercano di ampliare i propri investimenti, in particolare nel settore delle energie rinnovabili, presentate come “sostenibili” e politicamente accettabili.

Le energie rinnovabili come paravento giuridico
Le discussioni riguardano principalmente la creazione di parchi eolici nel Sahara Occidentale, sotto la guida di grandi imprese emiratine del settore:

  • Masdar, impresa pubblica emiratina specializzata nelle energie rinnovabili;
  • Amea Power, gruppo privato attivo nell’eolico e nel solare;
  • Taqa (Abu Dhabi National Energy Company), gigante pubblico dell’energia, recentemente associato al gruppo marocchino Nareva, a sua volta controllato dalla holding reale marocchina Al Mada.

La scelta delle energie rinnovabili non è neutra. Essa consente di occultare uno sfruttamento illegale dietro un discorso ambientale, mentre il diritto internazionale non opera alcuna distinzione tra risorse fossili e rinnovabili: ogni sfruttamento senza consenso è illecito.

Le istituzioni locali: una facciata di legittimità
I negoziati sono condotti con il Centro regionale di investimento (CRI) di Dakhla-Oued Edahab, una struttura amministrativa marocchina incaricata di promuovere gli investimenti nella regione. Il suo direttore, Ahmed Kathir, agisce come relais locale di una politica decisa a Rabat.
Queste istituzioni non dispongono di alcuna legittimità internazionale. Servono a costruire un’apparenza di governance locale, destinata ad aggirare l’esigenza fondamentale di consultare il popolo saharawi.

Il ruolo centrale degli USA
Gli USA svolgono un ruolo determinante in questa dinamica. La DFC ha annunciato uno stanziamento che può raggiungere i 5 miliardi di dollari per sostenere l’insediamento di imprese statunitensi a Dakhla.
Parallelamente, Washington prepara l’apertura di un consolato a Dakhla, dopo l’invio di una delegazione diplomatica sul posto. Questa decisione prolunga il riconoscimento unilaterale, nel 2020, della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale da parte dell’amministrazione Trump — un riconoscimento privo di valore giuridico internazionale, ma con effetti politici considerevoli.

Una strategia del fatto compiuto
Attraverso questa convergenza tra Rabat, Abu Dhabi e Washington, si sta configurando un’economia del fatto compiuto, il cui obiettivo è chiaro: rendere irreversibile l’occupazione del Sahara Occidentale mediante investimenti, infrastrutture e integrazione economica.
Questa strategia mira a:

  • svuotare di contenuto il processo delle Nazioni Unite,
  • marginalizzare il diritto internazionale,
  • trasformare un’occupazione militare in una realtà economica normalizzata.

Una responsabilità giuridica e politica condivisa
Impegnandosi in questi progetti, gli Emirati Arabi Uniti e gli USA si espongono a una responsabilità giuridica indiretta, partecipando allo sfruttamento di un territorio occupato. Anche le imprese coinvolte potrebbero affrontare futuri contenziosi, come è già accaduto a diversi gruppi europei davanti alle giurisdizioni dell’Unione europea.
Lungi dall’essere un semplice dossier economico, il Sahara Occidentale rimane uno degli ultimi casi di decolonizzazione incompiuta, in cui l’investimento internazionale serve ormai ad aggirare, piuttosto che a far rispettare, il diritto dei popoli all’autodeterminazione.