Da Gaza a Genova, la marea che riaccende la speranza

22 settembre. Una data che potrebbe essere ricordata come un punto di svolta. Mentre la politica istituzionale si avvita su se stessa, decine e decine di piazze in tutta Italia hanno risposto a un solo, potente grido: “Blocchiamo tutto”. Centinaia di migliaia di persone hanno fermato città, strade e snodi logistici per dire basta. Basta al genocidio del popolo palestinese, basta ai crimini di Israele e alla complicità di un Occidente che ha barattato l’umanità per l’interesse geopolitico. In questo scenario, spicca per la sua meschinità lo squallore del governo italiano, prono ai voleri di chi perpetra lo sterminio.

A Genova, la risposta è stata emblematica. Nonostante un’allerta meteo arancione che avrebbe dovuto svuotare le strade, una marea umana ha sfidato la pioggia e il vento per bloccare i varchi portuali. Un’azione dal valore simbolico e materiale immenso, per ribadire che dai nostri porti non uscirà più un solo chiodo destinato a Israele finché il massacro non si fermerà. E il dato più significativo, quello che infonde una speranza quasi dimenticata, è chi componeva quella marea: i giovani, i giovanissimi.

In loro, la lotta contro l’apartheid e la pulizia etnica in Palestina sembra aver riacceso una fiamma che credevamo sopita: un forte e rinnovato spirito internazionalista. Se i giovani si riprendono la scena con questa determinazione, forse la battaglia per un mondo migliore può davvero tornare al centro dell’agenda politica, strappandola dalle mani di tecnocrati e guerrafondai.

Osservando la loro determinazione, è impossibile non tornare con la memoria a Genova 2001. Lo spirito di allora, quella volontà di lottare per un “altro mondo possibile” che la brutale repressione dello Stato tentò di soffocare e uccidere, sembra riemergere oggi. La lotta per la liberazione della Palestina sta diventando il catalizzatore di una coscienza sociale più ampia, che si oppone a tutte le nefandezze del capitalismo e delle classi dominanti: dai massacri delle guerre allo sfruttamento sistemico.

Si riapre la strada alla lotta. E se una nuova coscienza di classe e di solidarietà internazionale riparte, allora la speranza in quel mondo migliore cessa di essere un’utopia per diventare un obiettivo concreto.

Per noi, che abbiamo lottato per tutta la vita e conosciuto il sapore della sconfitta, si apre ora un compito cruciale. Non dobbiamo sostituirci a questa nuova generazione, ma sostenerla, offrire la nostra esperienza e aiutarla a riprendersi il futuro che assassini e liberisti vogliono negarle. Si apre la stagione del conflitto sociale, e questa volta deve essere una lotta che parte dal basso, inarrestabile, capace di rovesciare un sistema di potere fondato sull’oppressione. Oggi, da quelle piazze, abbiamo visto che è di nuovo possibile.