Fra le altre varie nefandezze, la Legge di Bilancio in discussione in questi giorni contiene alcuni articoli (dal 123 al 128) che riguardano i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni sociali che lo Stato deve garantire ad ogni cittadino/a, come prescritto dal dettato costituzionale.
Nel testo si stabilisce che, riguardo alle prestazioni in materia di assistenza socio-sanitaria, i livelli di spesa, i criteri e il riparto delle risorse saranno affidati a DPCM, cioè ad atti amministrativi del Presidente del Consiglio, quindi alla discrezionalità politica del governo. Viene cioè inserita nella Legge di Bilancio, quindi in modo surrettizio e non modificabile, una norma che aggira le prescrizioni della sentenza n.192/2024, con cui la Corte Costituzionale, demolendo in buona parte la pessima legge Calderoli sull’autonomia differenziata, la n. 86/2024, aveva ribadito la centralità del Parlamento su tale materia, oltre che sulle intese Stato-Regione per l’acquisizione di particolari forme di autonomia.
Prescrizioni di cui il Ministro Calderoli ha dovuto tener conto quando ha presentato il disegno di legge n. 1623, che delega il Governo a legiferare in materia di Lep ed è attualmente fermo all’esame della Commissione Affari Costituzionali in Senato; tale disegno, nella sua impostazione ribadisce l’impianto della legge n. 86, contestata da un vasto movimento popolare oltre che dall’intervento della Consulta.
Prescrizioni ignorate insieme ad alcune regioni del nord a guida di centro-destra, con le quali sono stati avviati percorsi di pre-intese (le chiamano pudicamente così) per la devoluzione di importanti funzioni (e relative risorse).
Quindi i processi di regionalismo competitivo vanno avanti, incuranti delle diseguaglianze sociali e territoriali che stanno portando strati sempre più consistenti di popolazione a rinunciare alle cure mediche, a vivere in condizione di gravissimo disagio, e interi territori ad affrontare processi di emigrazione giovanile e di impoverimento sociale ed economico.
Il pericolo strisciante sta nel tentativo di considerare “superato” l’argomento, di mettere in ombra il nesso fra autonomia differenziata e processi di frammentazione sociale, la relazione delle lotte per il lavoro e contro la guerra con quelle per la democrazia.
Per questo, è urgente che la vertenza contro il regionalismo differenziato e per l’uguaglianza dei diritti sia centrale in questa fase, che incroci le altre importanti lotte e che abbia una sua “autonomia” anche rispetto alla campagna elettorale che sta interessando alcune regioni, come punto programmatico sul quale chiamare ad un impegno esplicito i/le candidati/e.
Dobbiamo constatare che alla mobilitazione popolare, che attualmente si sta manifestando attraverso momenti di approfondimento e di informazione, petizioni regionali, lettere aperte, non corrisponde un’adeguata attenzione nei programmi elettorali, fino alla sconcertante presa di posizione a favore dell’autonomia differenziata anche da parte di esponenti di coalizioni “progressiste”, come quella del candidato presidente del “campo largo” in Veneto, che scavalca addirittura Zaia nell’assumere la necessità di un’accelerazione dei processi autonomisti.
Segno che la strada è in salita e occorre ancora una volta riprendere la mobilitazione, sul piano culturale, sociale e politico, con soggettività che hanno a cuore l’idea di un paese “indivisibile”, nel quale i diritti non dipendano dal certificato di residenza.