L’atteggiamento colonialista di Solvay-Syensqo nell’alessandrino

Michela Sericano, ambientalista

Solvay, oggi Syensqo, è a Spinetta Marengo dal 2002, e dal 2002 gestisce lo stabilimento e la compromessa “situazione ambientale”, acquistati “per quattro soldi”.
Lo stabilimento di Spinetta aveva avuto origine ad inizio Novecento con la Società Chimica Marengo, acquisita negli anni ’30 dalla Montecatini che nel 1966 diventa Montedison.
Negli anni ’50 i prodotti chimici erano oltre una novantina, tra cui coloranti, bicromati, acidi e solfati, ecc., nessuno ancora normato per legge e senza studi sulla nocività per l’essere umano.
“La Montedison pagava le grondaie ai residenti perché l’anidride solforosa prodotta scioglieva in poco meno di un anno tutte le parti in ferro delle case”, si racconta a Spinetta.
Montedison nel 1981 si trasforma in una holding industriale. A Spinetta Montefluos nel 1992 assume il nome Ausimont. Dagli anni ‘80 ad oggi la principale produzione sono i prodotti fluorurati.
Nel 2009 inizia un processo penale contro Solvay e Ausimont, l’azienda chimica che ha gestito il sito fino all’arrivo della società belga nel 2002. Il processo affronta tre gradi di giudizio e termina il 12 dicembre 2019 in Corte di Cassazione con la condanna di Solvay.
Nel 2013 l’epidemiologo dell’Arpa Ennio Cadum dimostra come il cromo esavalente e altri 20 veleni rilasciati nelle acque di Spinetta abbiano provocato fino all’80 per cento di tumori in più nei tre chilometri vicini allo stabilimento. Nonostante ciò, in dieci anni di udienze le società reputate colpevoli di avvelenamento doloso e omessa bonifica si sono sempre dette innocenti.
Le sostanze perfluoroalchiliche come il PFOA compaiono nell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) nel 2010. L’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) è un provvedimento amministrativo obbligatorio per le installazioni industriali con impatti ambientali significativi. Si tratta di un’autorizzazione che normalmente sul sito della Provincia rende disponibili al pubblico i dati di monitoraggio ambientale e le condizioni operative.
Invece nel 2010 l’AIA Solvay non è pubblica. Non viene pubblicata dalla provincia di Alessandria, né resa disponibile al pubblico sin quando nel 2017 iniziano a chiederlo Legambiente e l’assessore all’ambiente del comune di Alessandria Claudio Lombardi. La spiegazione della Provincia: tutelare il segreto industriale su richiesta dell’azienda.
Eppure, già nel 2013, la presenza del PFOA (acido perfluoroottanoico) e delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nel fiume Bormida è collegata al polo chimico di Spinetta Marengo, con le autorità che monitorano le contaminazioni e l’inquinamento idrico, con risultati analitici che indicano la presenza di PFAS nelle acque a valle dello stabilimento, rilevando la necessità di interventi e di studi approfonditi sulla persistenza e i rischi di queste sostanze nell’ambiente e nella catena alimentare. 
A Spinetta ed in Alessandria si deve aspettare l’inizio del 2019 per avere il primo incontro pubblico sulle sostanze perfluoroalchiliche: ad organizzarlo Legambiente, il Movimento di Lotta per la Salute e Pro Natura.
Le autorità non si preoccupano di agevolare l’informazione nonostante il rafforzamento del diritto di accesso alle informazioni ambientali e la maggiore diffusione di tali dati contribuiscano a sensibilizzare maggiormente la popolazione, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione al processo decisionale e, infine, a migliorare l’ambiente.
Nel 2019 inizia l’iter autorizzativo per la continuazione della produzione e dell’utilizzo di un nuovo composto il cC6O4, che si conclude nel 2021. Più che un’autorizzazione, sembra un condono. Le parole contenute nell’atto autorizzativo suonano come una resa della collettività alessandrina nei confronti dei vari tipi di inquinamento che Solvay ha determinato negli anni dentro e fuori l’impianto di Spinetta Marengo, che riguardano le nuove sostanze perfluoroalchiliche ma anche prodotti chimici classici come il cloroformio che viene rilevato nel terreno e persino nelle cantine delle abitazioni all’esterno dello stabilimento.
La Provincia mostra bene questo storico atteggiamento di sudditanza alla grande azienda multinazionale quando anziché fissare rigidi limiti per le  sostanze utilizzabili, arriva a chiedere a Solvay, quasi in cambio della concessione dell’autorizzazione per il cC6O4, di poter conoscere quali altri composti PFAS pericolosi vengano utilizzati nell’impianto. E cosa dire del PFAS denominato “ADV7800”, il cui utilizzo non risulta essere mai stato autorizzato dalla Provincia, e che nella autorizzazione viene “condonato” a patto che venga “monitorato” e se ne riduca l’utilizzo gradualmente fino a cessare nel 2025? Intanto l’ADV7800 è da anni presente nel sottosuolo e nelle falde, dentro e fuori l’impianto, come Legambiente Ovadese denuncia alla Procura della Repubblica di Alessandria nell’esposto del settembre 2020.
E ancora che dire della presenza di ben trentotto “omissis” nel testo dell’autorizzazione, fatti scegliere alla stessa Solvay: in proposito non si comprende come una collettività che deve sopportare per intero l’inquinamento prodotto dagli impianti Solvay debba essere privata delle informazioni fondamentali sulle attività che influenzano il proprio ambiente di vita, né si comprende come una prestigiosa azienda di fama internazionale come Solvay debba ricorrere a questi sotterfugi per non rivelare appieno gli aspetti ambientali delle proprie attività industriali.
Non soddisfatta del risultato ottenuto, Solvay impugna le prescrizioni imposte nell’estensione dell’AIA alla produzione di cC6O4 davanti al TAR Piemonte prima e poi al Consiglio di Stato. Qui Solvay, richiedendone la verifica della legittimità costituzionale, di fatto, richiede perfino l’annullamento della Legge Regionale del Piemonte sui limiti all’inquinamento da PFAS.
A fine 2021 inizia la procedura di rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale per l’intero stabilimento. Solvay-Syensqo ottiene che i progetti siano pubblicati eliminando tutte le parti riservate per ragioni di segreto industriale, anche se contenenti informazioni sulle emissioni di inquinanti nell’ambiente. Il procedimento, dopo le prime Conferenze dei Servizi, si arresta sino al 2025. Legambiente Ovadese, dopo aver ripetutamente e ufficialmente chiesto la desecretazione quantomeno per tutte quelle parti della documentazione progettuale che riguardano direttamente o indirettamente le emissioni nell’ambiente generate dagli impianti, presenta ricorso al TAR Piemonte in data 24 luglio 2025. La sentenza del TAR, nonostante l’opposizione presentata sia da Solvay-Syensqo, sia dalla provincia di Alessandria, è stata sollecita e chiara: la Provincia “dovrà … esibire e rilasciare in copia i documenti richiesti…, rimuovendo gli oscuramenti e gli omissis che ostino alla lettura delle informazioni relative alle emissioni dell’impianto industriale nell’ambiente” .
Ad oggi il rinnovo dell’AIA è ancora in corso, la Provincia ha imposto a Legambiente Ovadese di non diffondere, pubblicare o comunicare a terzi le informazioni qualificate come riservate nella versione predisposta in ottemperanza alla sentenza del TAR. Ed ha informato l’associazione che ogni ulteriore utilizzo o eventuale diffusione delle informazioni ambientali rilasciate sarà effettuato sotto la piena responsabilità dell’associazione stessa.
Legambiente Ovadese non ha sino ad oggi eseguito l’accesso all’ulteriore documentazione. Quando accederà alla versione desecretata, tale versione costituirà la base sulla quale l’associazione produrrà le osservazioni pubbliche al progetto, e pertanto ogni segretezza andrà in ogni caso a cadere.
Ma ritengo che la conoscenza delle informazioni relative a tutte le emissioni nell’ambiente costituisca un diritto di ogni cittadino, e non solo dell’Associazione che è ricorsa al Tribunale Amministrativo Regionale.
Questo è lo spirito della sentenza del TAR  e, almeno questa volta, occorrerebbe che tutti quei comitati e quelle voci che hanno inneggiato alla sentenza si facessero sentire con atti concreti chiedendo il rispetto del diritto di informazione per tutti, dato che, come ha scritto il TAR nella propria sentenza, “ … è evidente lo stretto legame che esiste tra circolazione delle informazioni, partecipazione dei cittadini e raggiungimento dell’obiettivo finale di tutela dell’ambiente”.