In questo 2025 ricorre il centenario della nascita, avvenuta nel 1925, di Frantz Fanon. Nero della Martinica (possedimento francese), psichiatra, filosofo, rivoluzionario, algerino per scelta esistenziale. Morto a soli 36 anni nel 1961 a causa della leucemia.
La sua esistenza e il suo libro fondamentale I dannati della terra marcano una radicale svolta storica. La Teologia della Liberazione userà in seguito l’espressione “dal rovescio della storia”. La storia e il pianeta visti non più dal suprematismo bianco, dagli oppressori, dai dominanti mondiali, europei e occidentali, bensì visti con lo sguardo degli oppressi, dei poveri, dei popoli vessati dal colonialismo, dall’imperialismo.
È l’irruzione del Terzo Mondo. E Fanon e il libro diventano metafore, manifesti viventi del terzomondismo. Così potentemente accolti da chi nelle periferie del mondo, in primo luogo, ma poi anche da noi terzomondisti nei centri capitalistici, tra fine anni sessanta e inizi anni settanta, ci adoperavamo per cambiare il sistema.
Nel Nord Globale, come si dice oggi, questo impeto antisistema con caratteri anche da attesa messianica, dal momento che qui in Italia, e in Occidente in generale, molta sinistra sociale e politica, radicalizzata e antisistema, riteneva che le varie classi operaie e molte sinistre che le rappresentavano nell’agone politico fossero “integrate”, riformiste, marcusianamente assorbite e compatibilizzate nel “sistema”.
I. Nel breve spazio di un articolo occorre dare i tratti caratteristici della sempre viva presenza di Fanon. Ciò soprattutto nelle aree del mondo periferiche. Dove il colonialismo e il neocolonialismo hanno compiuto, e compiono tuttora, il lavoro di spoliazione e di depredazione e dove il normale corso dell’iniquo andazzo mondiale capitalistico, le guerre e gli effetti del clima manomesso producono effetti drammatici, devastanti.
Questi alcuni tratti salienti:
1. Profondamente nero, o “negro” come amava definirsi, ma con il fermo convincimento che l’orizzonte umano planetario è l’universalismo. Né razze, né classi, né gerarchie, vecchie e nuove. Il suo umanesimo radicale respinge tutto ciò.
Nessuna chiusura identitaria. Nessuna “negritudine”. L’identità e l’appartenenza sono passaggi necessari, ma non come fini in sé.
2. Il nazionalismo è un passaggio obbligato. Per i dannati è un autoriconoscersi, è prendere coscienza. Ma poi l’orizzonte rimane l’internazionalismo e l’universalismo.
3. In questo senso, il panafricanismo è un progetto e un fine, come il Terzo Mondo è un progetto e un fine. Ma sempre nella visione di cui sopra.
4. Il soggetto rivoluzionario su cui fondarsi è il mondo contadino. Le aree rurali dell’Algeria sono quelle che subiscono maggiormente l’oppressione.
5. La violenza è primigenia nei dominanti, nei colonizzatori. Il mondo è manicheo e il colonizzato si libera e assurge a soggetto e compie l’emancipazione anche per mezzo della violenza. È una soglia ontologica, ma ciò senza le sbrigative conclusioni di molti successivi estimatori di Fanon.
6. La sua è una “filosofia del soggetto”. La sua formazione è multilaterale, all’incrocio di storia, filosofia, economia, sociologia, letteratura, politica, marxismo, esistenzialismo, fenomenologia ecc. Egli personifica il processo gigantesco della decolonizzazione.
7. Si è detto lirismo, profetismo, romanticismo rivoluzionario. Anche questo. Ma quale carica liberatoria, materiale e spirituale, viene da questa figura. “Un essere eccezionale”, così Simone de Beauvoir. Che lo conobbe, assieme a Jean Paul Sartre, poco prima che Fanon morisse.
II. Il formale ricordo di Fanon, in occasione del centenario della nascita, diventa permanente ricordo delle speranze, del fervore, della tensione umana, delle emozioni, del pensiero vissuto, dell’azione senza posa che centinaia e centinaia di milioni di esseri umani, uomini e donne, di Africa, Asia, America latina hanno sperimentato in quella grande cosa che va sotto il nome di decolonizzazione. Colonialismo e decolonizzazione, la “grande rimozione”, colpevole e interessata, qui in Europa e nell’Occidente tutto.