Alberto Deambrogio: Le manifestazioni contro il genocidio a Gaza dei giorni scorsi hanno segnato un vero salto di qualità rispetto a quanto accaduto negli ultimi due anni. Quali sono secondo te le motivazioni principali?
Lorenzo Giustolisi: Sicuramente il dispiegarsi esplicito del progetto Sionista della Grande Israele, la ferocia assassina, le inenarrabili sofferenze della popolazione martoriata, hanno raggiunto un punto di insostenibilità tale da creare un sentire comune e diffuso, diventato senso comune e non più appannaggio solo di chi da anni denunciava il genocidio, prima e soprattutto dopo il 7 ottobre 2023. Le mobilitazioni ultime, parlo ora di quelle italiane, hanno trovato l’innesto nella coraggiosa vicenda dei portuali del Calp e di USB, che ha recuperato una tradizione di lotte antifasciste e di classe, e ha trasmesso un potente messaggio a tutto il mondo del lavoro. Di lì il nostro grande sciopero del 22 settembre, segno che anche una organizzazione di media grandezza come la nostra, può svolgere una funzione di massa che va oltre il suo perimetro. Una responsabilità e una sfida che ci assumiamo, per Gaza e per svegliare il nostro Paese da uno stato di passività che si è finalmente rotto. Merito grande anche della Global Sumud Flottilla, e del coraggio delle donne e degli uomini su quelle barche.
A.D.: Il ruolo delle lavoratrici e dei lavoratori così come degli studenti sembra affermarsi di nuovo come centrale. Quale consapevolezza critica lì sta muovendo oltre il sacrosanto sdegno verso la mattanza a Gaza?
L.G.: L’alleanza tra lavoratori e studenti funziona in due direzioni: riprende una politicizzazione studentesca dopo anni di anestesia, sulla base di una assenza di prospettive lavorative ed esistenziali che politicizza subito il loro agire; e dall’altra parte le condizioni dei lavoratori, la perdita di potere d’acquisto, le morti sul lavoro, lo spregio dei diritti, il fascismo aziendale, il disprezzo per il lavoro pubblico, ebbene tutto questo crea le basi di un malessere che trova nella indignazione per Gaza la attuale forma di espressione. Sulla critica del modello sociale e sul comune interesse a modificare le cose, si apre il terreno per una alleanza che per USB, rispetto soprattutto a Cambiare Rotta e Osa, è strategica.
A.D.: Il movimento ha indubbie potenzialità e ora ha davanti nuovi appuntamenti. Cosa servirebbe secondo te per farlo crescere unito? Forse bisognerebbe sperimentare a fondo una inedita azione comune fra sindacato, politica, movimenti…
L.G.: Questa è la domanda delle domande, come tramutare tutto in organizzazione, in massa critica, in strumento di resistenza e di contrattacco. Serve certamente chiarezza di obiettivi, capacità di lettura del presente, pratica di strada, lavoro sociale. Serve avere quadri che sappiano stare nelle contraddizioni. Non sarà una sommatoria a salvarci, ma la crescita di un progetto organico che parli alla società del 2025, che trovi un nuovo “volgare” per parlare alle masse, che rimetta in moto l’idea che il cambiamento è possibile. Perché nonostante la tragedia di Gaza, la lotta per la Palestina libera ha risvegliato potentemente questo sentire