Lo sgombero effettuato dalla polizia alle prime luci dell’alba di giovedì 18 dicembre del Centro sociale Askatasuna di Torino, unitamente alle perquisizioni effettuate nelle abitazioni di decine di attivisti del centro sociale e alla chiusura senza preavviso di due scuole limitrofe è un fatto gravissimo. La decisione di procedere allo sgombero è stata presa congiuntamente dal Ministro degli Interni e dal Sindaco della città Stefano Lo Russo. Governo di destra e Amministrazione Pd si sono ritrovati uniti nello smantellamento a viva forza di uno degli spazi politici, sociali, culturali di maggiore importanza nella città di Torino. Una vera e propria vergogna! Askatasuna è da trent’anni punto di riferimento per generazioni di giovani dissenzienti dalle politiche dominanti, impegnati sul terreno del diritto alla casa, allo studio, alla salute, della lotta contro il Tav, della mobilitazione a sostegno del popolo palestinese e tanto altro ancora. Sgomberare il centro sociale è indice di assoluta irresponsabilità politica che va contro le istanze sociali di una parte grande della città. In un contesto segnato dal riarmo, dalla guerra, dal genocidio, dalla distruzione dei territori questa operazione serve solo a svuotare gli spazi di partecipazione e a criminalizzare il dissenso. E’ la volontà di far degenerare la dialettica politica in azioni di repressione e di scontro duro come sta accadendo in queste ore. Serve una risposta partecipata e di massa. Mobilitiamoci tutte e tutti contro chi vorrebbe mettere a tacere il dissenso.
Le prese di posizione di Paolo Ferrero, Comitato dei garanti per un progetto sui beni comuni, Coordinamento Cuneo per Gaza, Arci provinciale, regionale e nazionale
Ferrero (Prc): ingiustificata, illegale e non provocata aggressione delle forze di polizia al pacifico corteo in solidarietà con Askatasuna. Il governo e il sindaco saranno contenti: finalmente danno la parola alle botte invece che al dialogo.
Paolo Ferrero, segretario provinciale di Rifondazione Comunista di Torino ha dichiarato:
“Il corteo di solidarietà con il Centro sociale di Askatasuna, che si stava svolgendo in modo del tutto pacifico, è stato aggredito dalle forze di polizia con idranti e lo sparo di lacrimogeni. Si tratta di una scelta ingiustificata, illegale e non provocata. Si tratta dell’ennesima decisione scellerata assunta da un governo che non riuscendo a raccogliere il consenso dei cittadini sulle sue scelte cerca di procurarselo con la repressione e la costruzione di capri espiatori. Il governo e il sindaco saranno contenti: finalmente danno la parola alle botte e alla repressione invece che al dialogo. Questa aggressione ad un pacifico corteo di protesta, in una situazione già tesa, è una scelta criminale, finalizzata con ogni evidenza ad “alzare il livello dello scontro”. Una scelta che noi comunisti condanniamo nel modo più netto”.
Comunicato del Comitato dei garanti per un progetto sui beni comuni
Questa mattina all’alba ingenti forze di polizia, carabinieri e guardia di finanza in assetto antisommossa, dopo avere bloccato il quartiere Vanchiglia, chiuso due scuole, deviato il traffico e finanche il tragitto dei mezzi pubblici, hanno fatto irruzione nello stabile dell’ex asilo di corso Regina Margherita 47 già sede del centro sociale Askatasuna e da oltre due anni oggetto di un progetto, concordato tra un gruppo di cittadini e il Comune e accettato dal collettivo di Askatasuna, finalizzato, come si legge nelle delibere comunali, a mettere l’edificio in condizioni di sicurezza e di maggior agibilità per attività sociali, culturali e ricreative utili al territorio. All’esito dell’irruzione le forze di polizia hanno provveduto a murare gli accessi all’edificio e a tagliare le utenze di acqua e luce. Il ministro dell’interno, il prefetto e i media parlano di “sgombero”: peraltro in maniera del tutto impropria, ché l’edificio era stato dismesso da Askatasuna (il cui collettivo ha continuato, peraltro, ad operare) e, secondo quanto comunicato dalla prefettura, la perquisizione effettuata ha solo accertato la presenza nei piani superiori di sei “attivisti” e due gatti (sic!): assai poco per dimostrare l’esistenza di un centro sociale operativo e in grado, addirittura, di attentare all’ordine pubblico!
La finalità dell’operazione di polizia, come è chiaro nei tempi e nella dinamica e come si legge tra le righe delle dichiarazioni del ministro, è quella di contrastare le mobilitazioni contro il genocidio in Palestina e contro le derive autoritarie e la repressione delle opinioni dissenzienti in atto in città e nel Paese, assumendo come pretesto alcuni episodi di violenza a cui avrebbero partecipato, tra gli altri, attivisti del collettivo Askatasuna destinatari di provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Evidente, infatti, è la sproporzione – a dir poco – tra il perseguimento di eventuali reati e l’operazione di polizia realizzata, preparata, del resto, da campagne di stampa risalenti e martellanti, da iniziative anche istituzionali della destra e da una criminalizzazione che ha condotto addirittura a un processo penale nei confronti di esponenti di Askatasuna per il delitto di associazione a delinquere, la cui esistenza è stata esclusa all’esito del dibattimento di primo
grado dal Tribunale di Torino. L’operazione di polizia appare, dunque, nient’altro che una rivincita del Governo contro le ripetute smentite, anche giudiziarie, delle sue politiche di ordine pubblico e contro la scelta del Comune di avviare un dialogo con realtà antagoniste in vista di un governo della città inclusivo e capace di dare spazio a tutte le sue componenti nella prospettiva del superamento di contrapposizioni
violente e improduttive.
A fronte di questa operazione, sorprende e preoccupa l’atteggiamento del sindaco di Torino che, lungi dall’opporsi – come pure sarebbe stato doveroso – a un intervento teso a vanificare un proprio progetto, ha dichiarato in tempo reale la “cessazione” del patto di collaborazione (intervenuto, tra l’altro, non con Askatasuna ma con i proponenti il percorso di riqualificazione) in conseguenza dell’“accertamento della violazione delle prescrizioni relative all’interdizione all’accesso ai locali” (circostanza idonea a motivare
richieste di chiarimento e successive prescrizioni ma non certo a determinare la chiusura d’autorità – e da parte di altri – dell’edificio e del progetto per esso elaborato).
In questa situazione, come sottoscrittori della lettera con cui, sin dal settembre 2023, abbiamo sostenuto il progetto di trasformazione dell’ex asilo di corso Regina Margherita in bene comune a disposizione della città, esprimiamo la più ferma protesta per l’operazione di polizia tesa ad impedirlo, chiediamo alla Giunta comunale e alle forze politiche che la sostengono di adoperarsi per la riattivazione del progetto e ribadiamo il nostro impegno ad operare in tale direzione, convinti che le complesse dinamiche cittadine richiedono dialogo e confronto e non interventi autoritari e repressivi che – è facile prevederlo – determineranno solo ulteriori contrapposizioni e violenze.
Torino, 18 dicembre 2025
Maria Chiara Acciarini
Giorgio Airaudo
Alessandra Algostino
Eleonora Artesio
Sandro Busso
Amedeo Cottino
Angelo d’Orsi
Leopoldo Grosso
Roberto Lamacchia
Livio Pepino
Gianfranco Ragona
Marco Revelli
Comunicato Coordinamento Cuneo per Gaza
La decisione del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di fare sgomberare l’Askatasuna, va di pari passo con quella del sindaco di Torino del PD Stefano Lo Russo di rompere il cosiddetto “patto” sulla sede del centro sociale. Si procede così allo sgombero dello spazio, dopo quello già avvenuto ad agosto ai danni del Leoncavallo: un passaggio politico grave e rivelatore.
Il patto di collaborazione prevedeva la gestione condivisa dell’immobile di corso Regina Margherita 47 come “bene comune”, con alcune prescrizioni sulle modalità di utilizzo degli spazi e sulla sicurezza. Il sindaco ha annunciato la cessazione del patto dopo che la Prefettura ha accertato presunte violazioni, in particolare la presenza di persone nei locali ai piani superiori. Tuttavia, questa motivazione ci sembra un pretesto: la decisione si inserisce in una più ampia offensiva repressiva contro le mobilitazioni e le pratiche di dissenso politico.
Gli sgomberi non sono mai atti neutri: colpiscono luoghi vivi attraversati da generazioni di studenti, lavoratrici e lavoratori, artistə e attivistə, che costruiscono cultura, antifascismo, solidarietà e conflitto sociale. In un contesto segnato dal riarmo, dalla criminalizzazione del dissenso e da un crescente autoritarismo, queste operazioni servono a svuotare gli spazi di partecipazione e a silenziare chi rompe il consenso attorno alla guerra.
Dalla mattinata sono in corso perquisizioni nei confronti di una decina di persone, attivistə coinvolti nelle mobilitazioni del periodo “Blocchiamo tutto” e della lotta a fianco del popolo palestinese, in particolare nei cortei nelle stazioni, nelle iniziative contro l’industria bellica Leonardo e in altri momenti pubblici del movimento. Processi e indagini non stanno ancora accertando le responsabilità individuali, e la gestione dei conflitti sociali continua a ricorrere a misure repressive e violente, dimostrando il fallimento della politica. Contemporaneamente, corso Regina Margherita è stato completamente blindato, con un imponente dispiegamento di camionette e reparti della celere, per consentire lo sgombero.
L’intervento ha avuto anche ripercussioni sulla vita quotidiana della città: due scuole sono state chiuse e a 500 famiglie, all’ultimo momento, è stato impedito di accompagnare i figli a lezione. Si tratta di un chiaro esempio di spettacolarizzazione dell’azione delle forze dell’ordine.
Il dispiegamento di forze e la simultaneità delle operazioni rendono evidente che non si tratta di singoli atti giudiziari, ma di un attacco politico coordinato. Questo clima repressivo si inserisce in un contesto più ampio di gestione del dissenso, come dimostra la vicenda dell’imam torinese Mohamed Shahini, trattenuto per 21 giorni nel CPR di Caltanissetta in attesa di espulsione e poi liberato dalla Corte d’Appello di Torino. Sebbene Shahini sia stato rilasciato, l’intera questione ha suscitato forti critiche da parte del Governo italiano, con la premier Giorgia Meloni che ha attaccato la decisione dei giudici e sollecitato maggior impegno delle istituzioni nella tutela della “sicurezza” nazionale.
La consapevolezza è chiara: repressione interna e guerra esterna sono due facce della stessa medaglia. Gli sgomberi di Askatasuna e del Leoncavallo non sono semplici interventi amministrativi, ma fanno parte di una strategia politica volta a ridurre gli spazi di conflitto e partecipazione sociale. Colpire questi luoghi significa interrompere reti di solidarietà, mutualismo e cultura politica che da anni si oppongono alle disuguaglianze, alla logica del profitto bellico e alla militarizzazione della società.
Lo sgombero va oltre la rimozione fisica degli occupanti: è un messaggio politico a chiunque voglia organizzarsi, dissentire e costruire alternative concrete alla guerra e alla marginalizzazione sociale. Contemporaneamente, il sistema politico continua a investire nel riarmo, sostenere l’industria bellica e mantenere rapporti con Stati responsabili di violenze e genocidi, come Israele.
Questi sgomberi rappresentano un atto di normalizzazione della repressione, volto a indebolire chi costruisce contrappesi al consenso dominante. Chi resiste difende non solo uno spazio, ma principi di libertà, solidarietà e conflitto sociale indispensabili per una società più giusta.
Rifiutiamo la criminalizzazione del dissenso e le politiche securitarie che limitano il diritto di manifestare e organizzarsi. Esprimiamo solidarietà agli attivistə e a chi continua a mobilitarsi contro la guerra e il genocidio: la solidarietà con il popolo palestinese, la critica alla guerra e la difesa degli spazi sociali sono pratiche politiche legittime e necessarie.
Comunicato Arci
Fate il deserto e lo chiamate legalità – Gli spazi sociali non si toccano
Torino, 18 dicembre 2025
Lo sgombero di Askatasuna è un errore. Rappresenta una scelta grave e miope, che colpisce non solo uno spazio fisico, ma un’esperienza sociale, culturale e politica che da decenni fa parte della storia di Torino.
Ancora una volta il Governo Meloni rivendica un approccio esclusivamente repressivo, piegando una vicenda complessa e stratificata a una lettura ideologica e securitaria. È una linea già vista, applicata negli anni contro realtà come il Leoncavallo a Milano o contro diversi spazi sociali in Piemonte come in altre città: una linea che lascia macerie sociali e desertificazione culturale.
Askatasuna è una realtà attraversata da tantissime persone, un presidio sociale e di quartiere e un collettivo di partecipazione politica.
Negli ultimi anni era stato avviato un percorso istituzionale di confronto che aveva portato alla sottoscrizione di un patto di collaborazione civica, con l’obiettivo di restituire alla città una fruizione pubblica di quello spazio e avviare un processo di regolarizzazione. Un percorso complesso che rappresentava un tentativo serio di governo dei conflitti urbani.
Le presunte irregolarità amministrative, tutte da accertare, vengono utilizzate come pretesto per chiudere ogni spazio di mediazione e affermare una scelta politica e ideologica: azzerare un’esperienza sociale invece di affrontarne criticità e responsabilità all’interno di un percorso condiviso.
Quella strada viene così bruscamente interrotta da una decisione calata dall’alto, che ignora il lavoro fatto sul territorio e comprime l’autonomia delle città nella gestione delle proprie trasformazioni sociali.
È un segnale politico preciso di questo governo: si preferiscono lo scontro alla costruzione di soluzioni, la repressione e la propaganda alla mediazione, il deserto alla partecipazione.
Arci continuerà a difendere il valore degli spazi sociali indipendenti, contro ogni visione che vorrebbe le nostre città e i nostri quartieri normalizzati e in balia delle sole logiche del mercato e del consumo.
Solidarietà al centro sociale Askatasuna.
Il Presidente di Arci Torino
Daniele Mandarano
Il Presidente di Arci Piemonte
Andrea Polacchi
Il Presidente di Arci
Walter Massa