Il pensiero di Lidia Menapace si distingue per l’intreccio indissolubile delle sue molteplici identità: partigiana, comunista, femminista, pacifista. La sua originalità risiede principalmente nell’aver saputo connettere queste dimensioni in una visione politica olistica, dove ogni aspetto rafforzava gli altri, rifiutando categoricamente le compartimentazioni ideologiche del suo tempo.
L’elemento forse più distintivo e radicale fu la sua declinazione del pacifismo: non un’astratta aspirazione alla pace, ma un impegno concreto per “mettere la guerra fuori dalla storia”. Questa convinzione nacque dalla sua esperienza diretta nella Resistenza, a cui partecipò come staffetta (“Bruna”), ma con la scelta netta di non portare armi. Per lei, la guerra non era uno strumento legittimo per risolvere i conflitti, nemmeno quelli giusti. Questa posizione, mantenuta con coerenza per tutta la vita, ha spesso sfidato l’ortodossia della sinistra, che talvolta accettava la violenza rivoluzionaria come necessaria.
Parallelamente, il suo femminismo non fu mai separato dalla lotta di classe o dall’antifascismo. Menapace criticò il bigottismo morale e la subalternità femminile non solo nella Democrazia Cristiana (di cui pure fu brevemente dirigente in Alto Adige) ma anche nel PCI, che inizialmente scoraggiò le donne partigiane dall’esibire il loro ruolo combattente per accreditarsi come “forza rispettabile”.
La sua intuizione fu che l’emancipazione delle donne, con la loro esperienza storica di cura e opposizione alla violenza, fosse la chiave di volta per costruire una società radicalmente diversa e più giusta, unendo la politica alla vita quotidiana.
Lidia Menapace ha incarnato un “pensiero in movimento”, un’inesauribile curiosità intellettuale che l’ha portata a essere un’anticipatrice su temi come l’ambientalismo e i movimenti per la pace. La sua capacità di unire teoria e prassi, senza sudditanze psicologiche verso le gerarchie maschili o di partito, resta la sua eredità più preziosa: un esempio di disobbedienza intelligente e coraggiosa, a distanza di cinque anni dalla sua scomparsa più che mai viva e necessaria.