Simona Suriano, ex parlamentare
Scomparso dai media principali (ma non totalmente dai social, fortunatamente) la vicenda di Gaza sembra stia tornando alla normalità.
Ma di quale normalità parliamo? Posto che la “tregua” è più una notizia di giornale che un fatto. Qual è l’idea occidentale di normalità in Palestina e a Gaza?
Personalmente credo che la debolissima tregua nei territori martoriati sia anche merito della grande mobilitazione umana di settembre e ottobre che ha allarmato i nostri governanti, soprattutto in Italia, dove partecipazioni così imponenti di liberi cittadini per le strade, per una giusta causa, non si vedevano da decenni. E’ evidente che la cosa stava sfuggendo di mano ed ecco che è arrivata la finta pace che giustifica da parte della stampa e del mainstream ad abbandonare il tema, a dedicargli sempre meno spazio, perché adesso la faccenda passa nelle mani dei “grandi”, che decideranno tempi e modi di ritorno alla quotidianità. Il punto dolente è che la tregua in realtà non è mai partita, i tempi e i modi di sterminio forse si sono ridotti ma continuano, lentamente, inesorabilmente, nel silenzio quasi assoluto.
E infine, qual è il progetto post genocidio? Vari attori elaborano strategie, piani e sono ansiosi di mettere le mani sulla ricostruzione di un territorio raso al suolo. Il popolo palestinese in tutto ciò non è coinvolto. Unico, debole interlocutore è l’Anp di Abu Mazen che tuttavia non gode di grande prestigio in patria. Mentre Hamas, bandito per sempre, e che ha vinto (piaccia o non piaccia) le ultime lezioni che si sono tenute in Palestina nel 2006, non potrà mai più partecipare alla vita politica palestinese per i gravi attacchi del 7 ottobre.
Io credo che la retorica dei due Popoli due Stati sia ormai ampiamente sepolta di fatti e dai “boots on the ground” dei soldati israeliani e dei coloni che indisturbati si stanziano in tutta la Cisgiordania cacciando con violenza gli abitanti dei luoghi. Quale Stato Palestinese è possibile oggi costruire’? Su quali territori? Con quali istituzioni? Con quale sistema elettorale e con quale popolazione votante? Non dimentichiamo che migliaia di palestinesi vivono fuori dai territori occupati, figli di una diaspora mai riconosciuta che chiedono di ritornare e di partecipare attivamente alla vita sociale e politica del loro paese. E quindi i nodi irrisolti sono talmente tanti e ampi che oggi parlare di due popoli e due stati è un modo molto ipocrita e di facciata per mettersi l’anima in pace.
In realtà l’Italia ha fatto ben poco per fermare lo sterminio in atto. Ha continuato a vendere armi ad Israele benché non solo il diritto internazionale, ma anche una nostra legge interna proibisce di vendere armi ai paesi in guerra. Ha votato contro le risoluzioni Onu per il cessate il fuoco. Non ha mai condannato le gravi azioni del governo israeliano.
Infine, la scelta di Abu Mazen di partecipare al festival di Atreju è una scelta a mio avviso discutibile, di un leader debole e poco amato in patria, che cerca appoggi internazionali. E se il suo intervento è giustificabile nella ricerca disperata di appoggi internazionali, non posso che pensare che forse le colpe occidentali sulla deriva armata di Hamas sono tante. Quando nel 2006 questi vinsero a sorpresa le elezioni contro Al Fatah l’Occidente accorse a non riconoscere la vittoria di Hamas, e iniziò lo scontro civile tra le due fazioni politiche che videro pian piano l’isolamento internazionale di Hamas (e di Gaza dove infine rimase a governare) a favore dell’Anp, uscito sconfitto dalle ultime elezioni. Mi domando se, un atteggiamento diverso della comunità internazionale verso questa formazione politica non avesse evitato l’escalation che ha portato ai drammatici fatti del 7 ottobre e alla brutale risposta israeliana.
Resta il dato sconsolante delle poco credibili e vane promesse di un Governo, quello italiano, che abbiam visto capace di eseguire gli ordini provenienti da oltreoceano ma incapace di avere una linea di politica estera autonoma e indipendente dagli interessi statunitensi. E una opposizione, oggi, debole, incapace di avere una linea chiara sulla causa palestinese, che restituisca piena dignità e diritto di esistenza libera e pacifica di una popolazione che ormai da decenni subisce vessazioni nell’accettazione generale.
La vera vittima rimane lì, silente, impotente ad osservare e a sperare che anche questo inverno passi, che anche oggi riesca a garantire un piatto di riso ai propri figli, quelli che sono sopravvissuti ai trucidi bombardamenti.