Elena Basile: “Unire le forze che sono contro le politiche neoliberiste e belliciste. Dalle manifestazioni popolari un segnale di speranza”

Elena Basile è un’ex ambasciatrice italiana con una lunga carriera diplomatica molto conosciuta per le sue posizioni critiche nei confronti delle politiche belliciste, genocidiarie e di riarmo intraprese dai paesi occidentali. Basile è conosciuta anche nella sua veste di scrittrice, analista internazionale, collaboratrice di varie testate giornalistiche, tra cui il Fatto Quotidiano. Proprio nella giornata di oggi esce il suo ultimo libro “APPRODO per noi naufraghi. Come costruire la pace”. A lei abbiamo posto alcune domande.

Ezio Locatelli: La Carta delle Nazioni Unite, la massima fonte del diritto internazionale, nomina la guerra solo una volta, nei termini di un “flagello” da evitare in tutti i modi. Secondo questa Carta si dovrebbe operare per il mantenimento della pace. Senza parlare della nostra Costituzione che ha tra i suoi principi fondanti il ripudio della guerra. Da tempo invece la priorità, l’idea prevalente per le nostre classi dirigenti di diverso colore politico è diventata la guerra non più l’imperativo della pace. Ci può spiegare il motivo di tale rovesciamento?

Elena Basile: Dagli anni Novanta in poi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti al massimo della loro potenza, rimasti unico egemone mondiale, hanno distrutto le regole del multilateralismo da essi stessi create dopo la Seconda guerra mondiale, applicato la forza contro il diritto e dato ampia attuazione alle politiche neoconservatrici: attacco all’Afghanistan, all’Irak, alla Libia, alla Siria. L’ONU e l’OSCE sono state sostituite con la NATO, organizzazione militare divenuta da difensiva dal Patto di Varsavia, alleanza offensiva con un raggio di azione non più limitato all’Europa ma a 360 gradi. Quando alcuni Paesi europei hanno limitato l’utilizzo della NATO quale strumento dei progetti di dominio neoconservatore statunitense, come nel caso dell’Irak, sono nate allora le cosiddette coalizioni dei volenterosi. Le guerre in Ucraina e a Gaza sono la continuazione di queste politiche di un occidente militarizzato.

E.L.: C’è qualcosa che non torna nell’enfasi dei piani accelerati di riarmo della Nato e dell’Europa, nel ricorso all’uso della forza.  Parlare di pace da raggiungere con il riarmo, con la guerra è un controsenso. Se oggi si prepara la guerra domani non potrà che essere guerra. Non le pare? L’istigazione alla guerra è solo una manifestazione di stupidità, incompetenza oppure trova la sua perversa ragion d’essere nella fase di profonda crisi in cui è entrata la globalizzazione capitalistica? Dove porta questa crisi?

E.B: Le guerre alla frontiera orientale dell’UE e in Medio Oriente sono strettamente legate alla crisi del capitalismo finanziario e alla necessaria difesa militare del dollaro che perde terreno in un quadro multipolare. L’Occidente gioca la carta della supremazia militare. Il debito per le armi torna a oleare un meccanismo inceppato che non riesce più a riciclare il surplus europeo e asiatico. Spero che non si voglia arrivare alla terza guerra mondiale ma il rischio di un incidente e di una escalation improvvisa esistono.

E.L: In un suo recente articolo esortati l’Ue a prendere atto del suo fallimento a Gaza e a Kiev. Non mi sembra che siamo su questa strada. Anzi. In Europa siamo in piena frenesia bellicista col rischio di un allargamento del conflitto in Ucraina, di uno scontro diretto tra Nato e Russia. A Gaza, come rimarcato da Francesca Albanese, gran parte delle potenze occidentali sono complici di un genocidio. Il fallimento di cui lei parla non sembra produrre una inversione di tendenza. La tendenza rimane quella della guerra e della distruzione. Cosa si può fare? 

E.B.: È in effetti strabiliante come questa classe dominante europea non colga la finestra di opportunità apertasi con Trump e l’elettorato MAGA per porre fine a un conflitto con la Russia che la impoverisce economicamente ed energeticamente, rendendo la sua sicurezza più fragile. Le ragioni vanno ricercate nel distacco delle élite dagli interessi dei popoli europei. Il blob statunitense (burocrazia, complesso militare industriale, grandi fondi e le loro lobby in osmosi con quella di Israele) governa l’Europa a vantaggio delle politiche neocon statunitensi.

E.L. : Gli Usa con Trump sembrano disimpegnarsi dallo scenario bellico europeo e voler riportare la guerra nel cortile di casa. Vedi le minacce di guerra al Venezuela. A che gioco stanno giocando? 

E.B.: Non credo che Trump abbandoni la NATO. Lo sanno anche gli europei altrimenti temerebbero l’accrescimento della potenza tedesca in Europa.  Solo in ambito NATO Berlino incute minore timore. Trump delega la guerra europea agli europei e ne trae vantaggio economico e geopolitico. Noi abbiamo tutto da perdere. Il pugno duro di Trump sarà dedicato ai Paesi dell’America latina che non sono stati desovranizzati. La guerra al Venezuela non sarà tuttavia semplice. Forse l’elettorato Maga, consapevole dello spreco di fondi che potrebbero essere indirizzati nell’economia reale, svolgerà una funzione temperante dei bollori guerrafondai dei Repubblicani come Lindsay Graham. 

E.L.: Da ambasciatrice con una carriera diplomatica di lungo corso lei è diventata un punto di riferimento nel discorso pubblico contro la guerra. Un bel salto. Non ci sono tanti precedenti. In uno dei suoi libri – L’Occidente e il nemico permanente –  scrive che” in un’epoca in cui la stessa umanità è minacciata dalla possibilità non più remota di un confitto nucleare allargato …bisogna tronare alla politica come progetto di trasformazione della società …”. Come si può fare? Qual ‘è il ruolo che possono avere le opinioni pubbliche, le mobilitazioni popolari?

E.B.: In effetti la società civile, l’intellighentia mi apprezzano. Forse per questo sono ostracizzata dal mainstream e non solo, anche da programmi come accordi e disaccordi vicino al giornale su cui scrivo. Sembrerebbe impossibile che questo avvenga in una democrazia pluralista. Naturalmente con me tanti ex Ambasciatori e intellettuali che potrebbero fornire un contributo e sono invece radiati dai media più diffusi. Si preferisce la mediocrità che alimenta la sottocultura. L’ostracismo è positivo per il mio benessere psicologico ma non per la possibilità di raggiungere tanti ascoltatori ignari. Il dissenso frammentato in varie isole e identità deve unirsi e dialogare con i pochi partiti dell’arco costituzionale che hanno preso decisioni storiche di condanna del genocidio e contro il riarmo. Le manifestazioni popolari su scala mondiale sono un segnale di speranza.

E.L.: È uscito il 4 novembre il suo ultimo libro dal titolo “APPRODO per noi naufraghi”. Titolo impegnativo. Ci può anticipare qualcosa a proposito di questo approdo di salvataggio?

E.B.: Chi sono i naufraghi e dove è l’approdo? I naufraghi sono innanzitutto i componenti del variegato mondo del dissenso, sono la generazione Z ancora priva di soggettività politica ma unita per la pace e la condanna del genocidio di Gaza.  Sono anche i cittadini che non votano più perché sfiduciati verso le Istituzioni e la politica. I naufraghi sono inoltre coloro che votano malvolentieri, non convinti, che si arrendono perché “non c’è alternativa”. In Italia come in Europa, è essenziale creare una istanza politica che possa rappresentare le esigenze esistenti di contrasto alle politiche neoliberiste e belliciste dell’imperialismo finanziario USA di cui l’UE è ormai l’appendice poco dignitosa. Mi è parso importante aprire il confronto su alcuni temi di fondo che potrebbero indicare una direzione di marcia unitaria, un denominatore comune a prescindere dalle diverse sensibilità e identità dei partiti e dei movimenti accomunati dal contrasto alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. L’approdo, nella riflessione comune e col contributo di ciascuno, potrebbe profilarsi all’orizzonte.