In nome dell’austerità e del riarmo il governo vara una finanziaria di guerra contro le lavoratrici e i lavoratori per ridurre salari, diritti e tutele mentre procede parallelamente l’utilizzo di tutti gli strumenti possibili per frammentare e dividere il mondo del lavoro.
Nel contempo prosegue l’operazione di smantellamento del welfare e di tutte le funzioni pubbliche ampliando lo spettro delle privatizzazioni dirette o preparandone il terreno con l’estensione di modalità gestionali aziendalistiche e forme di premialità per le/i dipendenti pubblici “meritevoli” , quelli più supini al volere dei dirigenti, funzionali anche a dividere i lavoratori.
È quanto emerge dalle misure principali previste da una manovra che per il resto elargisce risorse alle imprese continuando a lasciare alle logiche di un capitalismo, interessato unicamente ai profitti a breve, le decisioni economiche e produttive decisive per le sorti dell’economia nazionale.
Continua l’assalto alla progressività del sistema fiscale tartassando lavoro dipendente e pensioni, riducendo le tasse ai ricchi e ai redditi non da lavoro dipendente, proseguendo con i condoni che sottraggono altre risorse allo stato e favoriscono gli evasori che alimentano il blocco sociale delle destre.
Non è un caso che l’intervento principale che le destre rivendicano da tempo consista nella riduzione delle tasse per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro , che si tradurrà in guadagni mensili risibili per chi ne guadagna 30 mila e 440 euro nelle tasche per i redditi fino a 200 mila euro.
Chi guadagna fino a 28 mila euro che ha visto il precedente taglio al cuneo fiscale, tanto sbandierato dalle destre, annullato dal fiscal drag, vedrà benefici non per tutte/i e per un solo anno di poco più di dieci euro al mese. Eppure, è grazie a quel meccanismo, per il quale, a causa dell’inflazione, paghi più tasse, con l’aumento nominale e non reale del salario, lo stato ha incamerato tra il 2022 e il 2024 ben 25 miliardi. Soldi che invece che essere redistribuiti al lavoro finiscono ai profitti e alle rendite.
Sulle pensioni sono state vergognosamente smentite tutte le promesse, millantate in particolare dalla Lega, di abolire la Fornero. Nel Paese con l’età pensionabile più alta d’Europa si continua ad allungare la vita lavorativa aumentando sia l’età per andare in pensione che gli anni di contributi. Finite miseramente sia quota 103 che altre possibilità, già molto criticabili come “opzione donna”.
Cala la scure anche sulla sanità sono di un taglio drastico per arrivare al 2028 con una minore spesa reale di 40 miliardi rispetto al 2020. Scelte vergognose nel Paese in cui 6 milioni di persone rinunciano a curarsi perché sono povere mentre le liste d’attesa, mai finite, spingono i cittadini malati, che appena possono, a pagarsi le visite private; La spesa dei cittadini di tasca propria ha ormai superato i 40 miliardi.
Persiste il rifiuto sull’introduzione di un salario minimo legale, l’unica misura in grado di affrontare in modo strutturale il tema del lavoro povero e delle disuguaglianze tra lavoratori. Si concedono elemosine di stato a destra e a manca, briciole per lo più di durata annuale e tutte finalizzate a coltivare il bacino elettorale della destra, come la pletora di bonus o a depotenziare sempre più i contratti nazionali e fidelizzare i lavoratori al comando dell’impresa.
Di fronte a questa situazione drammatica che spinge il paese nel baratro di una regressione epocale le forze sindacali che si erano unite nelle mobilitazioni di ottobre hanno deciso di convocare scioperi separati: i sindacati di base sciopereranno il 28 novembre e la Cgil il 12 dicembre.
Non era una scelta obbligata. Gli uni e gli altri sono uniti nel condannare la manovra finanziaria concordando su temi fondamentali quali il no alla corsa al riarmo e all’economia di guerra e la necessità di tassare le grandi ricchezze, colpendo extraprofitti ed evasione fiscale.
Non sottovalutiamo le diversità su singoli obiettivi, ma siamo convinti che si poteva arrivare a una convergenza unitaria indispensabile di fronte alla necessità di avviare una nuova grande stagione di lotte senza la quale sarebbe velleitario pensare di fermare l’offensiva antipopolare e filo padronale del governo.
Si poteva unirsi su una piattaforma che richieda l’aumento generalizzato di tutti i salari, delle pensioni, l’istituzione di un salario minimo legale ; la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per la piena occupazione; la garanzia del reddito per tutte e tutti tramite un reddito di cittadinanza slegato dalle politiche attive del lavoro, un grande piano nazionale del lavoro partendo dall’assunzione di 500 mila nuovi dipendenti pubblici; il ripristino dell’articolo 18, l’abrogazione del jobs act e di tutte le leggi che hanno ridotto diritti, tutele e precarizzato il lavoro; l’abolizione della legge Fornero e la garanzia della pensione abbassando l’età della pensione , il riordino del fisco in direzione progressiva, riducendo le aliquote più basse per favorire lavoratori e pensionati istituendo una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze.
L’unità è resa tanto più necessaria considerata la chiusura di ogni spazio di concertazione, cui qualcuno si era illusoriamente aggrappato ancora nel recente passato, mentre la Presidente del Consiglio irride i sindacati e si potenziano gli strumenti per reprimere le lotte.
L’enorme eccedenza partecipativa verificatesi il 3 e i 4 ottobre, che ha visto irrompere grandi masse di giovani e studenti, è stata prodotta anche dalla percezione della mobilitazione di popolo e unitaria alimentata dall’indignazione per il genocidio del popolo palestinese.
Invece dell’impegno ad alimentare quella spinta abbiamo assistito a un ripiegamento autoreferenziale dei soggetti sindacali la cui unità aveva contribuito a quella straordinaria mobilitazione. La convocazione di scioperi nazionali separati nel 28 e nel 12 dicembre è una conseguenza di quel riflesso conservativo che danneggia tutto il movimento.
Noi pensiamo che così non si riuscirà a mettere in campo le forze indispensabili per far recedere il governo da una legge di bilancio regressiva e antipopolare e non si avvierà il grande ciclo di lotte generali, generalizzate e continuate nel tempo indispensabili per fermare l’ondata neoliberista e avviare un percorso di cambiamento.
Per questo invitiamo tutte e tutti a sostenere sia lo sciopero del 28 e del 12 e chiediamo ai sindacati coinvolti di fare un atto di reciproca apertura. Per esempio, trovando alcuni obiettivi per una piattaforma comune, inviando delegazioni simboliche degli uni alle manifestazioni degli altri e inquadrando le due iniziative come parti di un unico percorso di lotta.
Da parte nostra sosterremo l’iniziativa dei lavoratori e delegati autoconvocati che saranno presenti visibilmente in ambedue le manifestazioni quale testimonianza concreta dell’impegno a proseguire la lotta per l’unità sindacale e di tutti i soggetti che hanno prodotto le giornate straordinarie di ottobre.