Alessandro Volpi, Università di Pisa
La proposta di legge di bilancio inviata dal governo Meloni al Parlamento è davvero impresentabile per una serie di motivi ben evidenti In primo luogo è caratterizzata da una fideistica adesione ai vincoli imposti dall’Unione europea, avendo come obiettivo il conseguimento più rapido possibile di un rapporto deficit/Pil inferiore al 3%: si tratta infatti di un insieme di misure che valgono circa 18,5 miliardi di euro, a cui se ne aggiungeranno forse 3,5 dirette interamente ad alcune tipologie di imprese – senza in realtà ancora coperture certe – e generano un deficit inferiore agli 800 milioni. In pratica si tratta di una delle manovre finanziarie più ridotte della storia dell’Italia repubblicana, dove l’austerità è il tratto dominante. Di questi 18,5 miliardi, circa 9 derivano da tagli di spesa. Al di là delle dichiarazioni della presidente Meloni, non esiste alcun incremento del prelievo fiscale su banche e assicurazioni. L’unica misura di qualche peso è semmai un’agevolazione per gli istituti di credito perché possono svincolare gli extraprofitti degli anni passati pagando un’aliquota non più del 40% ma del 27,5%. Vale la pena ricordare che solo in quest’anno i profitti bancari hanno raggiunto i 50 miliardi di euro. Per le imprese sono stati stanziati, già nel testo originario, 8 miliardi di euro in tre anni, mentre non è prevista alcuna forma di adeguamento delle retribuzioni dei lavoratori all’inflazione, anzi nella Legge è contemplato un aumento delle imposte indirette, quelle che colpiscono i consumi, per quasi 5 miliardi di euro. Più in generale nel 2025 si è assistito ad un aumento della pressione fiscale nel nostro paese dal 41,4 al 42,6% del Pil; un dato che vale 25 miliardi di maggiori entrate per lo Stato e che dipende quasi interamente dall’aumento del carico fiscale pagato da lavoratori dipendenti e pensionati per effetto dell’aumento delle retribuzioni nominali generato dall’inflazione che ha fatto scattare la maggiorazione dell’aliquota. In altre parole i lavoratori dipendenti e i pensionati pagano un’aliquota più alta senza aver beneficiato di un aumento reale delle loro retribuzioni e dunque subiscono un evidente impoverimento non compensato da un aumento dei servizi ricevuti. E’ chiaro, così, chi paga il tanto sbandierato miglioramento dei conti pubblici. Anche in merito alla riduzione dell’aliquota Irpef dal 35 al 33% per i redditi compresi fra 28000 e 50000 euro, è bene sottolineare che, in maniera paradossale, il maggior beneficio è goduto da chi guadagna da 50000 a 200000 euro, perché tali redditi godono dello sconto di aliquota nella fascia del loro reddito compresa fra 28000 e 50000 euro. Per i redditi più bassi, invece, il beneficio è del tutto irrilevante. Così come sono estremamente contenuti, e comunque, erogati senza alcuna progressività i vari bonus “familiari” contenuti nella Legge. Per essere ancora più diretti. Per effetto della Legge di Bilancio, le famiglie italiane con un reddito lordo di 35 mila euro – quello di larga parte delle famiglie – avranno un beneficio complessivo, che comprende tutte le misure previste, di 230 euro annui. Se, però, come è naturale, si calcola che la perdita di potere d’acquisto per effetto dell’inflazione dell’1,5%, è pari, per quei redditi, a 375 euro, ciò significa che le famiglie italiane per effetto della legge di Bilancio si impoveriscono di 145 euro. Bisogna però aggiungere il dato del Bonus mamme che determina un beneficio di 575 euro per le famiglie in cui sono presenti donne lavoratrici con tali caratteristiche. Ma quante sono le donne che beneficeranno del Bonus mamme? Sono 850 mila su 10 milioni di donne lavoratrici che vedranno, come detto, diminuire il loro reddito reale di 145 euro. Compare poi la quinta rottamazione delle cartelle a cui sono ammessi anche coloro che, pur avendo aderito alle precedenti rottamazioni, non hanno pagato. Il costo per lo Stato di tale rottamazione è stimato in 1 miliardo di euro che sarà coperto con ulteriori tagli alla spesa sociale o con un aumento delle imposte per i contribuenti fedeli. Del tutto insufficiente risulta la spesa per investimenti pubblici che si ferma al 3,4% del Pil; un dato particolarmente grave perché nel 2026 si esauriranno le dotazioni del PNRR, una parte delle quali peraltro sono state rimodulate per coprire la stessa Legge di bilancio. Gravemente carente è la spesa sanitaria pubblica che è pari al 6,3% del Pil, in caduta libera dal 7,5% del 2021 e dal 6,7 del 2022. Ormai l’Italia ha una spesa sanitaria pubblica al di sotto dei livelli ritenuti come accettabili dall’OMS. In sostanza nella Legge di bilancio è previsto un aumento di meno del 3% quindi appena al di sopra dell’inflazione. Cresce invece ampiamente la spesa per il riarmo che supera i 32 miliardi e registra un incremento del 20% nelle due ultime Leggi di bilancio. In materia di previdenza pensionistica è bene sottolineare che la Legge di bilancio è accompagnata da misure che prevedono il trasferimento obbligatorio per tutti i neo assunti ai fondi pensione privati, incentivando anche fiscalmente la privatizzazione del sistema pensionistico, di cui beneficeranno certamente i grandi fondi finanziari.