L’impianto generale della Legge di Bilancio 2026 proposto dal Governo per la discussione in Parlamento – parliamo del provvedimento più importante e impegnativo dell’anno – non lascia spazio ad alcun dubbio. Si tratta di un disegno privo di qualsiasi misura strutturale in campo economico e sociale, men che mai in campo ambientale. Le misure in essa contenute valgono appena 18,7 miliardi di euro. Poca roba rispetto al fabbisogno e alle potenzialità di un paese come l’Italia. A questo proposito qualcuno ha detto che la manovra economica “non serve a niente”, “non cambia nulla”. Non è vero. Dietro l’apparente insipienza della manovra, dei suoi miserrimi artifizi contabili, si nasconde il disegno di uno Stato minimo volutamente disimpegnato sul versante dell’intervento pubblico, delle politiche sociali e abitative, della tutela della dignità del lavoro, dell’equità sociale, del governo politico dell’economia. Su questi temi, al di là dei titoli in bella mostra, c’è poco o nulla, solo tagli alla spesa pubblica, misure risibili sulla sanità a fronte del sistematico depauperamento del servizio sanitario nazionale, nessuna forma di sostegno al reddito, solo aumenti inconsistenti e persino offensivi per pensioni e salari da fame. E via di questo passo. Il peso del maggior introito fiscale continuerà a gravare sui percettori di reddito fisso, nessuna tassazione sulle grandi ricchezze, nessuna tassa sugli extraprofitti delle banche ma per lo più contributi volontari.
Questa manovra, definita “seria e equilibrata” dalla Presidente del Consiglio si presta molto bene alla vis comica di Maurizio Crozza: “con una mano ti danno 3 euro, con l’altra ti svuotano il portafogli”. Il tutto è funzionale al combinato disposto politiche di austerità e economia di guerra. Le spese sociali devono rientrare tassativamente nei vincoli restrittivi del Patto di stabilità europeo per liberare risorse in direzione del piano di riarmo imposto dalla Ue dalla Nato. Queste ultime, al contrario delle spese sociali, sono fuori sacco, scomputate da qualsiasi vincolo. La riorganizzazione del sistema produttivo dovrà avete il riarmo come punto centrale a detrimento del welfare. Che senso ha, come fa il Pd, criticare la manovra economica in quanto improntata all’austerità se all’atto pratico si è partecipi alla corsa forsennata al riarmo? Una corsa che inghiotte una montagna di risorse pubbliche: 23 miliardi di spese militari aggiuntive a quelle già in essere soltanto nei prossimi tre anni.
Proprio nei giorni scorsi in Commissione difesa della Camera, con i voti incrociati delle destre e del Pd, è passato il progetto di investimento italiano di 9,6 miliardi di euro, progetto decennale, per nuovi aerei da combattimento. Si tratta solo di un assaggio della politica del riarmo destinata a portarci al disastro sociale. Un disastro che comporta un doppio vantaggio per i padroni della grande finanza, non solo quello di lucrare dal rialzo dei listini di borsa della industria armiera ma di trarre enormi guadagni dalla ritirata dello Stato sociale, trasformato in Stato di guerra. Tale ritirata costringerà centinaia di migliaia di persone private di tutele sociali fondamentali a dotarsi di polizze assicurative private. Ecco perché, da qui in avanti, diventa sempre più urgente e necessario stringere la lotta contro riarmo, guerra, genocidio alla lotta contro le politiche di austerità. Una lotta da condurre fuori da ogni doppiezza e ipocrisia politica dei guerrafondai e liberisti di turno.