Senza chiedere il permesso

C’è chi li aveva dati per persi, chi ha preferito ignorarli o disprezzarli per anni, mentre altri hanno scelto di salire sul pulpito, predicando confronti con il tempo che fu e sentenziando il sicuro destino delle giovanissime generazioni: la fine della rana bollita. Ma c’è anche chi si è illuso di poterli plagiare, manovrare o bastonare, negando loro ogni spazio e diritto di dissenso, incatenandoli ai banchi di scuola, delle università e a un futuro fosco, fatto di  precarietà e di accettazione dell’ordine precostituito.

E invece, all’improvviso, questi ragazzi e queste ragazze hanno guardato fuori  dalla  finestra delle proprie aule e sono schizzati fuori. Hanno consapevolmente detto no, in maniera netta e radicale, mobilitandosi per urlare basta al genocidio del popolo palestinese. Si sono manifestati nelle piazze, si sono palesati in strade, città e piccoli paesi insieme a famiglie, lavoratori, coetanei di seconda generazione e tanta gente comune che si è schierata per far cessare un orrore senza fine e per denunciare la complicità e l’inazione dei governi che lo rendono possibile. Nessuna delega: se chi dovrebbe agire non lo fa allora agiamo noi, senza aspettare o chiedere il permesso a chicchessia. Una marea intensa e potente di giovanissimi che ha travolto tutti in maniera inaspettata. Slogan, manifesti, striscioni confezionati in poche ore, frasi che esprimono determinazione, simboli globali di protesta, On Piece che diventa un meme e chiama alla raccolta,  voglia di prendere la parola per influenzare scelte e decisioni che sanno bene verranno prese altrove.

Non si mobilitano  solo contro qualcosa che li indigna: hanno in testa idee chiare e ben precise. Chiedono giustizia, la fine del riarmo, la difesa dei diritti inalienabili e urlano la loro  critica a chi sta portando anche loro  al macello. Sono lì per qualcosa di concreto, come la consegna di beni di prima necessità a una popolazione martoriata, ma prima si sono documentati, hanno iniziato a studiare quella storia che talvolta nelle scuole neanche si insegna. Hanno chiesto spazi per capire ciò che le generazioni precedenti non hanno trasmesso loro e che resta ancora fuori dalle mura scolastiche: il potere di uno  sciopero o del boicottaggio, il significato della parola “sumud”. Hanno usato con saggezza i social e i tanto condannati cellulari per informarsi, rimanere aggiornati,intraprendere campagne di   opposizione e convergere.

Una convergenza inedita, spontanea, che non può essere  liquidata come una reazione di pancia, empatica e moralistica, che rischia di consumarsi come un fuoco di paglia. L’indignazione ha fatto esplodere la pentola a pressione e l’onda di protesta è diventata uno tsunami.

Che madornale errore si commetterebbe nel pensare  che la loro grande  partecipazione a questo nascente movimento di massa  sia stata merito della convergenza di partiti e sindacati che hanno saputo creare un fronte comune. Oltre agli accordi e alle intese anche opportunistiche, queste sì che rischiano di sciogliersi come neve al sole, abbiamo visto troppo di più e una  scarsa corrispondenza. Siamo testimoni di una  cesura storica, che lo si voglia riconoscere o no. Un movimento che trova nel suo radicamento e nelle prospettive che si pone la sua forza e le sue potenzialità.

Quelle piazze piene, trasversali, animate dai colori della Palestina, raccolgono i frutti di almeno due anni di lavoro costante e inizialmente faticoso. Piccole mobilitazioni nei quartieri, nei centri e nelle periferie, nei paesini più sperduti. Assemblee di istituto, cineforum, comitati, raccolte fondi, collettivi universitari, azioni di boicottaggio, reti di scopo, ascolto di testimonianze dirette. Un radicamento capillare costruito nel tempo e con il coinvolgimento progressivo di un numero sempre maggiore di persone che si sono ritrovate anche solo per confezionare dolci o lavori all’uncinetto.

E i nostri ragazzi e le nostre ragazze, instancabili e determinati, continuano a dare gambe al loro bisogno di protagonismo. Rompere la gabbia che ci opprime senza fare un passo indietro-scrivono con chiarezza- per  contagiare ogni ambito della società.

In questi giorni proseguono le occupazioni studentesche, la lista delle scuole  coinvolte si allunga costantemente e a staffetta si sposta da un istituto ad un altro. Al centro il ripudio di ogni complicità con il genocidio e l’aumento delle spese militari, soldi sottratti all’istruzione e al loro domani. Contro lo sceriffo Valditara e le sue linee guida, i tagli alla scuola  pubblica e il Ddl 1627 promettono ferma opposizione.

Senza chiedere il permesso.

Gaza ha insegnato loro come funziona il mondo e l’urgenza di costruire un’alternativa vera.