Uno dei padri della nostra Costituzione, Pietro Calamandrei, sosteneva che il governo dovesse uscire dall’aula quando si discute di Costituzione: ” i banchi del governo devono rimanere vuoti”. In questa controriforma, invece, il Parlamento non ha avuto nessun ruolo; la maggioranza, negando lo stesso spirito dell’articolo 138 della Costituzione, che pretende attento confronto, equilibrio, un surplus di dialettica, è andata avanti indossando l’elmetto della contrapposizione. Perché, in realtà, vuole trasformare il referendum confermativo (o oppositivo) in un plebiscito a favore della Meloni per poi porre mano alla controriforma del “premierato”, che completerebbe la costruzione del regime , abbattendo sostanzialmente l’intera prima parte della Costituzione. Dovremo costituire da subito, nazionalmente e territorialmente diffusi comitati referendari che evitino di ingabbiare la discussione nello scontro tra Associazione Nazionale Magistrati e governo. Dovremo costruire comitati sociali, innervati sulla presenza di movimenti di lotta, di luoghi conflittuali, di sindacalismo, che parlino al tessuto del paese , alla cittadinanza, mettendo in prima luce un tema che è in ombra nel dibattito e nello scontro attuale: il nostro “no critico” alla riforma Nordio non è solo frutto di osservazioni tecniche ma è motivato dalla nostra convinzione che l’abbattimento della cultura della giurisdizione e un collegio di pubblici ministeri che diventano un collegio di poliziotti incontrollati diventino forme di oppressione nei confronti dei conflitti e della lotta di classe. Un potere, infatti, che ha mire assolutiste non tollera nemmeno i limiti che derivano dalla magistratura. Pretende una magistratura sottomessa all’esecutivo. Ma i giudici devono amministrare la giustizia in nome del popolo, tutelando i diritti e le minoranze. Quando non lo fanno, li critichiamo. Noi non siamo, infatti, il “partito dei giudici” ma garantisti che minacciano una legge che mina l’indipendenza della magistratura, intesa, in Costituzione, come potere giudiziario. Porre sotto controllo dell’esecutivo i pubblici ministeri, favorendo un loro rapporto privilegiato con la polizia giudiziaria , significa, soprattutto, aggirare l’obbligatorietà dell’azione penale, che è uno dei cardini della Costituzione repubblicana. L’imparzialità e l’uguaglianza non saranno garantite da pubblici ministeri , braccio armato dell’esecutivo, che sceglieranno di privilegiare le inchieste contro i migranti, gli oppositori, gli anticapitalisti e non le connessioni tra le mafie e i potenti, le zone grigie della corruzione, dell’evasione. La Meloni lo ha confessato apertamente: i giudici non devono limitare l’esercizio del potere politico da parte del governo, ma porsi al suo servizio. Vogliamo vincere il difficilissimo referendum della primavera perché vogliamo evitare che la magistratura diventi un organo repressivo e un “porto delle nebbie”, cortigiani di un potere che diventa ogni giorno di più stato penale, del controllo, della sorveglianza. Solo un grande movimento conflittuale potrà evitare questa deriva.