Ezidi. Un popolo in lotta contro il suo genocidio – Tre domande a Carla Gagliardini

Carla Gagliardini è laureata in giurisprudenza e abilitata all’esercizio della professione forense, ha studiato e lavorato a Cuba, nel Regno Unito e in Bolivia ed è autrice di Ezidi. Storia e cultura di un popolo in lotta contro il suo genocidio (RedstarPress). E’ vicepresidente di Anpi provinciale di Alessandria e membro del direttivo  dell’ass. Verso il Kurdistan  

Roberto Cabrino: Di fronte allo scempio di Gaza un libro come Ezidi ci ricorda quanto le pratiche genocidiarie siano all’ordine del giorno e abbiano una genesi profonda in un sistema di potere profondamente iniquo, disponibile a cancellare popolazioni ritenute in eccesso o di intralcio per progetti deliranti nati dalla destabilizzazione caotica di intere aree del mondo. Ci vuoi dire come è nato questo testo che unisce lavoro storico e spirito militante?

Carla Gagliardini: Con l’Associazione Verso il Kurdistan Odv mi occupo di progetti a sostegno del popolo curdo in Turchia e nel campo profughi di Maxmur in Iraq ma anche del popolo ezida che vive nel distretto di Shengal, nel nord-ovest dell’Iraq. Questo popolo ha subito un genocidio nell’agosto del 2014 per mano dello Stato Islamico, più noto come Isis. Il risultato di quell’aggressione ha portato allo spopolamento dell’area, all’uccisione di migliaia di uomini, donne anziane e ragazzini, nonché al rapimento di bambine e bambine e giovani donne e ragazze. Nelle mani dello Stato Islamico i bambini sono stati trasformati in soldati mentre le donne, ritenute bottino di guerra, sono state vendute come schiave, così come le bambine che avevano già compiuto nove anni.

Lo Stato Islamico voleva il genocidio fisico e culturale degli ezidi, ritenuti a torto adoratori del Diavolo, ma mirava anche a prendersi le loro terre perché situate in un luogo strategico per la costruzione del Califfato che Abu Bakr al-Baghdadi aveva proclamato il 29 giugno del 2014.

Il Parlamento Europeo, le Nazioni Unite e alcuni Paesi hanno riconosciuto il genocidio. Noi abbiamo chiesto all’On. Laura Boldrini, che presiede il Comitato permanente per i diritti umani nel mondo, di fare altrettanto. A febbraio di quest’anno la mozione è stata votata dal parlamento impegnandolo a chiedere al governo di procedere con il riconoscimento. Tuttavia, al momento, tutto tace.

Il libro, quindi, nasce in questo contesto, raccogliendo le richieste che provengono dai compagni e dalle compagne ezide che chiedono insistentemente di divulgare la loro storia, di farla conoscere nel nostro Paese, di aiutarli a ottenere il riconoscimento del genocidio che hanno subito. Il Taje, il movimento delle donne ezide, ha inviato pochi mesi fa una lettera ad alcuni governi, tra cui quello italiano, proprio per sollecitarli.

Con questo testo volevo ricostruire le vicende passate e soprattutto quelle recenti per aiutare il lettore e la lettrice a inquadrare la complessità della situazione in cui vive il popolo ezida che continua a lottare contro il genocidio e i suoi effetti.

R.C.: Il tuo lavoro ci restituisce una realtà a tutto tondo, una vicenda fatta di sofferenze patite, di responsabilità coloniali, di difesa orgogliosa di tradizioni e di limiti delle medesime, ma anche di grande capacità di guardare in avanti. Ci vuoi tratteggiare brevemente questa tensione politica, che in qualche modo si inserisce in un discorso più ampio e positivo relativo all’intera regione?

C.G.: Il popolo ezida ha radici millenarie e ha sempre abitato nella zona di Shengal, oltre che in altre aree del Medio Oriente. Storicamente si è dimostrato restio alle contaminazioni da parte di altri popoli per timore di perdere la propria identità culturale. Ha subito innumerevoli tentativi di genocidio, l’ultimo è il 74°.

Sotto l’Impero Ottomano ha sofferto molto, così come durante il governo di Saddam Hussein, il quale con le campagne di arabizzazione ha colpito duramente anche gli ezidi. Questo popolo si è però sempre difeso tentando di scongiurare l’estinzione.

L’aggressione del 2014 è stata la più violenta della loro storia ed è stata resa possibile anche dall’accordo tra lo Stato Islamico e il Partito democratico del Kurdistan (Kdp), guidato dalla famiglia Barzani. Il Kdp aveva accettato di cedere Shengal, che amministrava e difendeva con i suoi peshmerga, ottenendo in cambio il via libera sulla zona petrolifera di Kirkuk, territorio conteso tra lo stesso Kdp e il governo centrale di Baghdad, che lo Stato Islamico si apprestava a conquistare.

Gli ezidi si sono sentiti traditi dai curdi del Kdp ma anche da buona parte della popolazione araba che viveva nel distretto, unitasi allo Stato Islamico. L’impossibilità di riporre la propria fiducia in queste due comunità ha fatto sì che nascesse l’Amministrazione Autonoma di Shengal, forma di autogoverno basata sui principi del confederalismo democratico. Questo è il nuovo paradigma politico pensato da Abdullah Ocalan, il leader curdo del Pkk, rinchiuso da più di venticinque anni nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Imrali, in Turchia. Gli ezidi sono venuti a contatto con il pensiero politico di Ocalan durante la lotta di resistenza combattuta contro lo Stato Islamico. I primi a soccorrere questo popolo abbandonato e in evidente stato di necessità sono stati infatti i combattenti del Hpg, l’ala armata del Pkk, a cui si sono immediatamente affiancate le unità di resistenza del Rojava, le Ypg. Questa vicinanza ha favorito lo studio del confederalismo democratico e la sua adozione come mezzo per ricostruire la società una volta cacciato lo Stato Islamico da Shengal. È nata così l’Amministrazione Autonoma di Shengal la quale però è sotto minaccia continua dei droni turchi e degli interventi militari di Baghdad. Ma nemmeno il Kdp la vuole perché ambisce a tornare a governare il distretto. Tuttavia, l’Amministrazione Autonoma oppone una forte resistenza perché non gli perdona il tradimento del 2014, costato un prezzo carissimo al popolo ezida.

Le vicende siriane e la polveriera mediorientale, poi, aggravano lo scenario nel quale gli ezidi si trovano.

A distanza di undici anni dal genocidio sono in pochi a ricordare quanto è avvenuto e le conseguenze di quell’aggressione, le quali sfortunatamente sono talmente importanti da minacciare la sopravvivenza di questo popolo.

R.C.: In queste settimane stai promuovendo il libro in molte presentazioni, anche perché i proventi della sua vendita andranno a finanziare progetti locali a cui tu tieni molto. Ce ne vuoi parlare?

C.G: I ricavati della vendita del libro andranno interamente a finanziare la costruzione dell’ospedale di Dulha, nel distretto di Shengal, che servirà circa 30.000 persone. Come associazione ci siamo presi questo impegno già nel 2023. Si tratta di un progetto che richiede tutte le nostre energie. Siamo un’associazione piccola che non fa ricorso ai fondi pubblici quindi la costruzione di un ospedale è davvero qualcosa di ambizioso. La scarsità dei servizi in questa zona devastata dal passaggio dello Stato Islamico, che ha distrutto l’80% delle case e il 70% dei servizi, richiede uno sforzo straordinario e così per me andava da sé che il ricavato delle vendite dovesse essere interamente investito per Dulha. Chi volesse acquistare il libro, potrà contattare l’associazione scrivendo una email a versoilkurdistan@gmail.com e ordinare una o più copie.