La notte scorsa, alle 4,34 nel buio delle acque internazionali, non è affondata una nave, ma il diritto stesso. A 120 miglia nautiche dalla costa di Gaza, in uno spazio che per definizione appartiene a tutti e a nessuno, lo stato di Israele ha perpetrato l’ennesimo atto di pirateria, ammantandolo con la solita, stanca retorica della sicurezza nazionale. L’assalto alla flotilla umanitaria, composta da otto barche a vela e dalla nave “Conscience”, non è un’operazione di polizia, ma un atto di guerra contro civili disarmati.
Non ci sono ambiguità. Le coordinate geografiche sono chiare: siamo in acque internazionali, al di fuori di qualsiasi giurisdizione israeliana. La natura della missione era trasparente: trasportare medicinali, apparecchiature salvavita e generi alimentari a una popolazione stremata. L’identità dei passeggeri era nota: volontari, medici, giornalisti e, cosa gravissima, parlamentari eletti in nazioni sovrane. Persone che hanno messo la propria faccia e il proprio corpo a difesa di un principio: l’umanità non si processa e non si arresta.
L’operazione militare, condotta con la brutalità di un commando che affronta una minaccia bellica, è un crimine internazionale in piena regola. Si configura come sequestro di persona, abbordaggio illegale e violazione sistematica delle Convenzioni di Ginevra, che proteggono il personale medico e le missioni umanitarie. Le immagini dei militari con visori notturni che assaltano un ponte dove uomini e donne attendono a mani alzate non sono la cronaca di un’operazione di sicurezza, ma la documentazione di un atto di banditismo. Il trasferimento forzato degli attivisti nel porto di Ashdod e la loro detenzione arbitraria sono il compimento di un sequestro da parte di uno Stato terrorista.
Tuttavia, la violenza più assordante non è solo quella delle armi, ma quella del silenzio che ne consegue. In particolare, il silenzio del governo italiano è un oltraggio alla nostra Costituzione e alla nostra dignità nazionale. Tra i sequestrati ci sono cittadini e parlamentari italiani. Rappresentanti del popolo, la cui immunità e incolumità dovrebbero essere difese con la massima fermezza dalla nostra diplomazia. Invece, da Palazzo Chigi e dalla Farnesina, assistiamo a un silenzio che sa di complicità, di sottomissione, di viltà politica.
Questo non è più il tempo dei timidi comunicati di circostanza o delle “preoccupazioni” espresse a mezza voce. Questo è il momento in cui uno Stato sovrano ha il dovere di richiamare il proprio ambasciatore, di convocare quello israeliano e di pretendere l’immediato e incondizionato rilascio dei propri cittadini. Ogni minuto di ritardo è un’abdicazione alla propria sovranità e un insulto a quei volontari che, con il loro coraggio, stanno difendendo principi che le nostre istituzioni hanno evidentemente dimenticato.
L’azione legale annunciata dall’associazione “Puglia per Gaza” è un atto di dignità che supplisce alla latitanza dello Stato. Ma non può bastare. L’impunità di cui gode Israele è alimentata da decenni di acquiescenza occidentale e, in questo caso, italiana. Impedire con la forza la consegna di aiuti umanitari è una strategia deliberata per mantenere una popolazione in ostaggio, criminalizzando chiunque tenti di rompere l’assedio.
Non possiamo più accettare che il Mediterraneo, culla di civiltà, diventi il teatro di atti di pirateria sponsorizzati da uno Stato che si pone sistematicamente al di sopra della legge. Chiediamo il rilascio immediato di tutti gli attivisti. Chiediamo l’apertura di un’inchiesta internazionale indipendente. Chiediamo che il governo italiano esca dal suo colpevole torpore e agisca con la fermezza che la situazione impone.
La storia, un giorno, chiederà conto di questo silenzio. Ora basta.