Umberto Lorini, presidente Pro Natura del Piemonte
Il materiale radioattivo prodotto dalle quattro centrali nucleari che in Italia, nel secolo scorso, hanno funzionato per poco più di un ventennio è ancora pressoché tutto – a più di 35 anni dallo spegnimento dei reattori – in depositi “temporanei” ubicati presso gli impianti stessi: a Trino, a Latina, a Caorso e al Garigliano. E poi ce n’è a Saluggia (parecchio, in termini di radioattività), a Bosco Marengo, a Rotondella e presso altri impianti, senza contare quello che, a breve, dovrà rientrare dall’estero (Francia e Inghilterra) dopo il ritrattamento. Tutti accomunati da una caratteristica: non sono siti idonei per lo stoccaggio di materiale radioattivo.
Cosa fanno i Comuni che ospitano questi siti? Sollecitano il Governo ad individuare il sito – il meno inidoneo possibile – in cui realizzare il Deposito Nazionale, in modo da smantellare i “temporanei” depositi attuali e restituire i siti senza vincoli radiologici? Macché. Tacciono. Tacciono perché ogni anno, da più di vent’anni, il Governo li tiene buoni erogando loro “compensazioni”: soldi, tanti soldi, ai Comuni in cui sono ubicati i siti, alle relative Province e ai Comuni confinanti con quelli che ospitano gli impianti.
Ieri il ministro Pichetto Fratin – lo stesso che non sa dove costruire il Deposito Nazionale, e che intende aprire nuove centrali nucleari in Italia – ha annunciato che a breve il suo Ministero distribuirà altri 15 milioni di euro di “compensazioni”, suddivisi fra cento enti locali, in base all’inventario radiometrico (più hai radioattività, più soldi prendi) del 2024. E siccome l’appetito vien mangiando, alcuni Comuni – anziché sollecitare il Governo a dare finalmente soluzione al problema delle scorie, chiudendo così per sempre la costosa e pericolosa stagione nucleare italiana – hanno fatto causa al Governo per farsene dare di più. Ancora una volta avidità batte sicurezza, mentre si ciancia di “nuovo nucleare” senza aver risolto i problemi di quello vecchio.