Oggi, Sabato 27 dicembre, il Senato voterà la riforma della Corte dei Conti. Se approvata, diventerà legge, inserendosi in un disegno più ampio di concentrazione del potere.
Il quadro è chiaro: meno controlli, più potere nelle mani di pochi, leggi elettorali modellate a proprio favore e rischi scaricati sulla collettività.
La cosiddetta “volontà popolare” viene spesso invocata per giustificare decisioni per rispondere alla “pancia” della gente. Ma la democrazia non si riduce agli umori della maggioranza. La costituzione post-fascismo esiste per proteggere chiunque, anche e soprattutto chi non fa parte dei blocchi dominanti.
Oggi le maggioranze reggono grazie ai premi di legge elettorale, sia regionali sia nazionali, e con il consenso di una fetta sempre più ridotta di elettori. Paletti costituzionali, Corte dei Conti e sistemi proporzionali non sono ostacoli alla democrazia: sono strumenti che difendono cittadine e cittadini, territori e denaro pubblico da chi vuole concentrare il potere.
La riforma della Corte dei Conti riduce la responsabilità dei dirigenti pubblici: chi provoca un danno allo Stato potrà risarcire al massimo il 30% della somma o due annualità di stipendio. E il diritto al risarcimento si prescriverà addirittura dopo soli cinque anni dai fatti, “salvo occultamenti dolosi” quando i 5 anni indicati inizieranno dalla scoperta del malfatto.
Le dichiarazioni di Salvini e Meloni sul no al Ponte sullo Stretto – con la premier che parla di “invasione della giurisdizione” e Salvini che definisce la decisione “politica” e un “grave danno per il Paese” – mostrano come queste forze attendano con interesse la riforma per avere più margine in situazioni simili.
Parliamo di cifre enormi: 13,5 miliardi, coperture incerte, pedaggi troppo alti, impatti ambientali ignorati. I costi sono quasi triplicati rispetto alla gara iniziale.
L’Europa chiede una nuova gara anche perché il contratto è stato sostanzialmente modificato: inizialmente il 60% del finanziamento doveva essere a carico del privato, ora è tutto pubblico. Questo cambia l’equilibrio economico, esclude chi non poteva garantire i miliardi iniziali e rende necessaria una nuova procedura per rispettare concorrenza, trasparenza e regole europee.
Tutto questo viene però bollato come “interferenza politica”.
Si aggiunge poi la riforma Nordio, presentata come “separazione delle carriere”, ma che aumenta la soggezione dei giudici al governo e riduce l’autonomia della magistratura.
Sul fronte elettorale, a livello nazionale e regionale , premi di maggioranza e sbarramenti rischiano di escludere chi non rientra nei due blocchi principali.
Un esempio concreto: le elezioni regionali toscane del 2025, con una legge voluta all’epoca da Renzi e votata dalla giunta Rossi, che taglia con un’accetta la proporzionalità.
Viene meno le effettività del voto e i principi di rappresentatività e pluralismo sanciti dallo statuto. Abbiamo superato il 5% con i voti alla candidata presidente, ma rischiamo di non entrare in Consiglio perché nonostante ci fosse un’unica lista, Toscana Rossa, collegata alla candidata presidente, la lista resta sotto soglia, e i voti vengono contati come non indicassero quell’unica lista. Così 72.300 elettori ed elettrici resterebbero senza rappresentanza, mentre altri con decine di migliaia di voti in meno hanno ottenuto dei seggi.
In questo scenario, la volontà elettorale rischia di diventare sempre di più uno strumento per legittimare la concentrazione del potere, invece di garantire pluralismo, controlli e tutela dei cittadini, del territorio e delle finanze pubbliche.
Anche per questo andiamo avanti aspettando l’udienza del TAR del 18 febbraio.
Per chi vuole contribuire alle spese legali:
+IT10Z0103038100000004129719
Intestato a Sinistra Progetto Comune
Causale: Ricorso TAR Toscana Rossa
Paypal: Sinistra Progetto Comune
Tratto dal profilo FB di Antonella Bundu