L’imprenditoria italiana, nella sua incarnazione contemporanea simboleggiata da John Elkann, offre periodicamente spettacoli di inaccettabile irresponsabilità. L’ultima uscita, in occasione della festa per la 500 ibrida a Torino, è la critica alle politiche del Green Deal europeo, peraltro sempre più irrilevante, seppellito sotto l’ ingordigia delle spese militari. L’ Europa uscita dalla COP 30 non è certo un campione di difesa delle ragioni dell’ ambiente.
L’iniziativa, quella di Elkann, che, se non fosse tragica per le sue implicazioni future, sarebbe comica, provenendo da un settore che da decenni campa di aiuti di Stato, incentivi pubblici e ammortizzatori sociali, salvo poi sottrarsi sistematicamente ai propri impegni o, peggio, criticare le direzioni strategiche globali.
Il presidente di Stellantis lamenta la rigidità delle norme europee, chiedendo maggiore flessibilità sui target di emissioni e continui piani di rottamazione. In altre parole, il messaggio è chiaro: “Vogliamo i benefici del mercato unico, ma senza le regole che ne garantiscono la sostenibilità futura”.
Questa posizione è la quintessenza di un capitalismo parassitario che socializza i rischi e privatizza i profitti. L’industria automobilistica ha chiesto, e ottenuto, miliardi per la transizione, salvo poi rallentare sugli investimenti e lamentarsi dei costi quando si tratta di fare sul serio.
La stessa 500 ibrida, presentata come un segno di rinascita, non basta a coprire il vuoto di investimenti strutturali e la perdita di posti di lavoro a Mirafiori, dove si assiste a un “lungo addio” della famiglia Elkann-Agnelli alla città.
La critica al Green Deal non è solo miope, è pericolosa. Ignora l’urgenza climatica e la necessità di un’industria automobilistica che si adatti a standard globali di sostenibilità per rimanere competitiva. Chiedere sussidi per produrre auto “verdi” (come fatto in passato), per poi denigrare le politiche che le rendono necessarie, dimostra una mancanza di visione strategica e una dipendenza cronica dal denaro pubblico.
L’Europa ha bisogno di uscire dalla retroguardia e avrebbe necessità di un’industria che sia partner nella transizione ecologica, non un freno a mano tirato in nome del profitto a breve termine.
L’irresponsabilità di questa postura, che maschera la ritrosia a investire in innovazione reale con lamentele sui costi, è un lusso che il Paese e il pianeta non possono più permettersi.
È tempo che certa imprenditoria si assuma le proprie responsabilità, senza continuare a chiedere la botte piena e la moglie ubriaca.