Con le ultime misure sulle pensioni previste dalla legge di bilancio 2026 prosegue l’assalto delle destre alla previdenza pubblica condotto da decenni di politiche neoliberiste in tutta Europa.
L’aumento di tre mesi dei contributi da versare è solo dilazionato di un anno come pure l’innalzamento di tre mesi per la pensione di vecchiaia; l’ignobile trucco delle finestre per allontanare l’andata in pensione è stato riconfermato, con il differimento di ulteriori 3 mesi per andare in pensione.
Nelle ultime 72 ore sono stati aggiunti e poi ritirati altri provvedimenti che è bene tenere presenti perché fanno capire la direzione di marcia di questo governo. La finestra d’attesa per ottenere la pensione passerebbe dagli attuali 3 mesi a 6 mesi entro il 2035. Risultato: entro quella data per lasciare il lavoro invece di 42 anni e 10 mesi, di contributi ne occorrerebbero 43 anni e 9 mesi. Era stata introdotta la decurtazione degli anni di studi universitari riscattati (a pagamento) con l’effetto di allontanare di tre anni circa la pensione. Terza misura inserita: il conferimento obbligatorio del Tfr ai fondi pensione con la norma del silenzio assenso. Una scelta anticostituzionale in quanto essendo il Tfr salario differito è di proprietà esclusiva del lavoratore.
L’obiettivo delle ultime due misure è chiarissimo: dirottare i soldi usati fino a oggi per il riscatto della laurea e quelli del Tfr verso la finanza delle pensioni private che i lavoratori si ostinano giustamente a rifiutare perché, a parte l’ultimo anno, hanno rendimenti peggiori di quelli trattenuti in azienda.
Si sono voluti chiarire questi tre provvedimenti, al momento ritirati, perché, avendo la Presidente del Consiglio dichiarato che se ne sarebbe riparlato in un decreto ad hoc, è bene vigilare su come evolveranno, condizionati come sono dalle contraddizioni interne alla maggioranza.
È lungo l’elenco delle misure contro lavoratori e pensionati assunti dalle destre che hanno clamorosamente smentito la promessa leghista del 2022 di andare in pensione con 41 anni di contributi.
È svanita la tanto decantata quota 103 come misure già insufficienti quale era opzione donna.
Dal 2024 è stato innalzato l’importo soglia da maturare per il diritto alla pensione anticipata con 20 anni di contributi, portando a 3 volte (2,8 per le donne) l’assegno sociale.
Continua l’utilizzo delle pensioni come bancomat per fare cassa attraverso la rapina di decine di miliardi rubati con la mancata rivalutazione in base all’inflazione degli assegni superiori a 4 volte la minima (circa 2000 euro lordi).
Sono stati ridotti i coefficienti utilizzati per la trasformazione del montante contributivo in assegno pensionistico, col risultato di una riduzione dell’assegno.
Con le finanziarie del 2024 e del 2025 è stato drasticamente ridotta l’aliquota di rendimento della quota retributiva maturata dai dipendenti pubblici con meno di 15 anni di servizio prima del 1995, circa 700 mila lavoratrici e lavoratori che da qui al 2043, secondo stime Cgil, subiranno un salasso di circa 33 miliardi.
È stato esteso il sistema contributivo che fa sì che l’assegno pensionistico venga ridotto fortemente nel tempo in quanto non più commisurato né all’obiettivo di una vecchiaia dignitosa, come vorrebbe la Costituzione, né agli anni di lavoro prestati, ma al montante di contributi versati: a essere colpiti sono ancora una volta quelli che già hanno pagato con una vita di salari bassi, lavori precari e discontinui.
Diventa chiaro come le attuali destre con la Lega portino avanti in modo accelerato gli obiettivi che erano già alla base del “riforma” Fornero. In primo luogo, l’allungamento progressivo della vita lavorativa e l’allontanamento dell’età della pensione oltre i 70 anni. Con l’“effetto collaterale” socialmente nefasto dell’aumento del numero di over 55 al lavoro (3 milioni e 417 mila, 10 milioni oggi) che favorisce la disoccupazione giovanile prevista anche per i prossimi anni sopra il 20%.
In secondo luogo, e parallelamente, si punta alla progressiva riduzione degli assegni pensionistici attuali che già oggi determina una platea di milioni di pensionati con pensioni bassissime e ipoteca un futuro da fame per i giovani attualmente al lavoro
La motivazione sottostante queste scelte, la presunta insostenibilità del sistema, è la stessa da decenni, non valeva ai tempi della Fornero e non vale oggi. Non è vero che il sistema non regge: al netto dell’assistenza e delle tasse (più pesanti che nel resto d’Europa) e che rientrano allo stato, continua a essere in attivo.
Non è vero nemmeno che aumentando la popolazione anziana inattiva in rapporto agli attivi aumenta di conseguenza l’incidenza della spesa previdenziale in rapporto al pil; non si tengono in conto i due fattori che davvero contano: l’aumento della produttività generale del sistema e l’aumento del monte salari globale dei lavoratori attivi che sono quelli che versano i contributi.
E sarebbe ancor meno vero se si invertisse la tendenza alla continua riduzione dei salari e alla precarietà, si portasse l’occupazione nel pubblico a livelli europei, si mettesse la parola fine ai regimi di sgravi nel versamento dei contributi, si facesse una lotta vera all’evasione e all’elusione contributiva.
La verità è che i sovranisti nostrani, come mostrato anche con questa legge di bilancio, hanno sposato pienamente la linea liberista a senso unico che prevede aiuti di stato alle imprese, sostegno alla rendita finanziaria attraverso la privatizzazione del welfare, riduzione di salari e diritti per rendere i lavoratori sempre più subalterni al comando delle aziende.
È a questa logica che risponde il fine ultimo della prosecuzione dell’attacco alle pensioni: lo smantellamento del sistema pensionistico pubblico a vantaggio della rendita finanziaria.