di Teresa Isenburg, docente universitaria di geografia politica ed economica
Per vari motivi non mi è stato possibile nei giorni scorsi proporre qualche considerazione su Cop30, Conferenza delle Parti, principale organo decisionale della Convenzione quadro sul Cambiamento climatico delle Nazioni Unite attiva dal 1995; lo faccio adesso, anche se il tema è ormai uscito dall’attenzione dei mezzi di informazione e caduto nell’oblio.
La Cop30 realizzata a Belém fra il 10 e il 21 novembre 2025 si è tenuta in un momento internazionale in cui l’attenzione è volta ai troppi teatri di guerra (Ucraina e Gaza in primis), oltre alla crescente tensione nei Caraibi per l’azione di destabilizzazione del Venezuela da parte del governo Trump. A questo si aggiunge l’assenza federale e negazionista degli Usa (che ha ovviamente condizionato altre partecipazioni di alto profilo) solo parzialmente compensata dalla presenza di esponenti delle amministrazioni statali e locali. Oltre al governatore della Califronia Gavin Newson, un centinaio di autorità locali fra governatori, sindaci, alti funzionari sono andati a Belém in una missione coordinata dai governatori del Wiscondin e del New Messico. Né va sottovalutato l’atteggiamento ostile dell’Europa che non perdona al Brasile di essere rimasto neutrale nella guerra in Ucraina non solo rifiutando la vendita di armi nonostante pressioni scomposte, ma si è addirittura speso per cercare di creare spazi di trattative. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha ritenuto di manifestare tale ostilità con parole non protocollari e offensive al suo rientro in Germania da Belém. Alcuni problemi logistici (acqua sanitaria, caldo umido, aria condizionata bassa, un punto di incendio) non hanno semplificato la situazione. Quindi non si può non considerare positiva la realizzazione, fra venti e tempeste, della Cop30 con circa 56.000 iscritti di 194 paesi e un dibattito vivace, a volte fra posizioni inconciliabili. Né va dimenticato il numero 30 che contraddistingue questo incontro: sono trent’anni, dal 1995, che, anno dopo anno, riunioni multilaterali esplorano strade per rallentare il cambiamento climatico di origine antropica. È un cammino in divenire in cui passi avanti e passi indietro, punti acquisiti e obiettivi abbandonati si intrecciano ruotando attorno al metodo lento, troppo lento della trattativa evitando forzature e rispettando il multilateralismo oggi sotto attacco (vale la pena di scorrere la buona scheda di wikipedia su Cop). È quindi inutile esprimere valutazioni schematiche, successo/insuccesso, dal momento che vi è un flusso di lasciti che giungono dalle precedenti Cop e passeranno alle prossime. È anche inutile cercare in tale sede risultati e azioni di rottura sistemici, dal momento che il luogo è di negoziazione e condivisione di fronte a problemi molto difficili. Peraltro le delegazioni riflettono le situazioni politiche dei singoli paesi e quindi ogni Stato dovrebbe avere politici sensibili ai temi ambientali e di essi competenti difensori, il che notoriamente non è. Eleggere politici di questo tipo è compito delle società civili di ogni realtà.
Il 6-7 novembre, prima degli incontri operativi a differenza delle altre Cop, si è tenuto il vertice dei capi di Stato e di governo, ciò che ha permesso di farsi anticipatamente una idea delle differenti visioni. Lula ha fatto il discorso iniziale dopo quello del segretario delle Nazioni Unite riprendendo la linea politica ed ambientale che lo contraddistingue (interdipendenza giustizia ambientale/giustizia socioeconomica, multilateralismo come condizione necessaria, profitti petroliferi per finanziare la transizione energetica, mercato integrato di carbonio, infrastruttura digitale globale pubblica ecc.). Ha poi presentato l’iniziativa, fuori dall’agenda Cop30, del TFFF/Fondo delle foreste tropicali per sempre, che prevede azioni non solo in Amazzonia, ma anche nelle altre coperture vegetali estese e relativamente intatte in Indonesia e nella Repubblica Democratica del Congo. Con tale strumento si ottiene un duplice risultato: allargare la tutela, ma anche contenere l’illusione che sia sufficiente conservare la copertura originale amazzonica per risolvere la crisi climatica. Per l’Italia ha parlato Tajani rivendicando l’azione in Africa, l’alta tecnologia, la richiesta di non avere un approccio ideologico (concetto non del tutto chiaro) e concludendo con un richiamo, forse non indispensabile, a Francesco d’Assisi.
In Cop30 durante la prima settimana si sono incontrati nella Cupola dei Popoli i rappresentanti nazionali e internazionali della società civile (ong, associazioni, gruppi, sodalizi, comunità ecc. accreditati nel Consiglio di partecipazione sociale della Presidenza della Repubblica) con molte iniziative, parecchie dedicate ai popoli ancestrali. Si è svolto anche un Tribunale dei Popoli (che riecheggia la tradizione dei Tribunali Russell e Basso) contro l’Ecogenocidio, un luogo simbolico attivato dalla Cop30 nella sede del Ministero pubblico federale di Belém, mentre sabato 15 novembre si è svolta, con molta partecipazione, la Marcia dei Popoli. Fra le iniziative mi è sembrata particolarmente interessante la richiesta del potente sindacato della FUP/Federação Unica dos Petroleiros di prevedere la partecipazione dei lavoratori del settore nella elaborazione della transizione energetica. I documenti prodotti da tutti gli incontri sono stati consegnati al presidente della Cop30 ambasciatore André Correa do Lago per essere consegnati ai circoli tematici che sono coordinati da ministri e che hanno lo scopo di “garantire che le discussioni concettuali si traducano in politiche pubbliche” una volta acquisite dai documenti finali. Infatti Cop non è solo una sede negoziale, ma incorpora l’Agenda di azioni (volontarie, ma volta a fare).
La seconda settimana si è svolta con le delegazioni istituzionali e private del mondo economico, della tecnica e della scienza per la tessitura di una mediazione politica resa particolarmente complessa dal vincolo, imposto dalla Convenzione quadro per il Cambiamento del clima, di arrivare a documenti finali e decisioni condivise. Nel riassumere l’indirizzo della Cop30 Correa do Lago ha così sostenuto: “Quale è la differenza con le altre Cop? È che in questa noi dichiariamo che è una Cop di implementazione. E l’implementazione non necessita di consenso. È un esercizio di cooperazione, di appoggio degli uni agli altri” relativamente a quanto stabilito negli anni precedenti e in particolare nell’Accordo di Parigi in modo da renderlo ulteriormente operativo e coordinato con scadenze e modalità di valutazioni quantitative. La formula più volte ripetuta è stata “mutirão global”/sforzo collettivo. Difficile, ovviamente. Impossibile dare conto dei molti campi e gruppi di lavoro che hanno operato. Mi limito a indicare alcuni punti che in precedenza erano meno presenti. Se il confronto sugli aspetti finanziari (quelli più trattati) è stato anche questa volta prevalente e discordante con la richiesta di contributo dei paesi ricchi elevato da 300 a 1300 miliardi US$ anno, personalmente tuttavia mi è sembrato molto importante l’inserimento specifico di questioni in precedenza assenti o marginali. Un testo tematico ha riguardato la salute sia sotto l’aspetto dell’adattamento che del coordinamento al riguardo di malattie che si dislocano in conseguenza del cambiamento climatico e quindi chiedono azioni mirate, tenendo conto che uno su 12 ospedali subiranno conseguenze negative legate al clima. Uno dei problemi è che alle misure di adattamento nel 2023 sono stati destinati 63 miliardi US$ a fronte di 640 miliardi per mitigazione. La politica delle città resilienti, per la quale molto si parla di città spugna, ma non solo dal momento che enorme è il nodo della gestione dell’acqua sanitaria nonché dei rifiuti nelle Leonie di milioni di cittadini, ha trovato un posto non secondario e non sono mancati circoli dedicati alla cultura sia dal punto di vista educativo che come strumento più sfaccettato per incentivare la partecipazione e la conoscenza foriera di presa di coscienza. Sia nella stampa che durante le trattative grande tensione ha suscitato il fatto che nei testi non fosse indicato in modo esplicito – e con calendario temporale, quantitativo e verificabile- il progressivo allontanamento dai combustibili fossili che pure era apparso in parte delle bozze. Alcuni paesi, soprattutto europei (una trentina), si rifiutavano di votare a favore in assenza di tale riferimento, altri (una ottantina soprattutto africani e ovviamente la potente Arabia Saudita) in presenza dello stesso, mentre divergenze concernono su chi debba ricadere il costo di tale allontanamento. Alla fine il documento è stato approvato in modo consensuale senza questo richiamo. Peraltro la questione non era prevista in agenda e si presume quindi che non era stata trattata negli incontri preliminari svoltisi durante tutto il 2025. Lula in alcuni dei suoi discorsi aveva lanciato, scompigliando un po’ le carte, la parola d’ordine “mapa do caminho”/ mappa del percorso per costruire una agenda temporale, quantitativa, volontaria e paese per paese per l’allontanamento dalle fonti fossili. Adesso il tema è sul tappeto. Dal momento che la presidenza brasiliana continuerà fino a novembre 2026 in parallelo e collaborazione con Turchia dove si terrà la Cop31 e Australia dove si svolgeranno gli incontri preparatori della stessa, il presidente ambasciatore Correa do Lago ha preso l’iniziativa di organizzare due gruppi di lavoro per mettere a punto una previsione fattibile e documentata per l’uscita dal fossile e altra per la fine della deforestazione da presentare a aprile 2026 alla conferenza internazionale sul clima in Colombia. Per avere una idea circostanziata oggi si dispone del primo bilancio globale/ GST-1 dell’Accordo di Parigi presentato nella Cop28 di Dubai del 2023; in base ad esso a Belém è stato organizzato un piano di accelerazione/PAS (di cui anche l’Italia fa parte) per ottenere che i paesi ancora inadempienti mettano a punto i NDC/Cotributi Nazionali Determinati in cui ogni paese in modo volontario identifica mete appunto volontarie di riduzione delle emissioni, misure di adattamento e strategie finanziarie e tecnologiche. Al momento 112 paesi su 198 hanno messo a punto questo documento di impegno. Va ancora notato che il 22.11.25 il gruppo composto da facilitatori con un certo peso internazionale denominato High-Level Champions for Climate Action ha pubblicato un Outcome Report of Global Climate Action Agenda at Cop30 in cui si illustrano le iniziative realizzate: non sono poche, ma molto manca.
Per conoscere l’imponente meccanismo di Cop30 e il ruolo dell’Italia in esso si può consultare il sito del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che ha anche un link con il molto documentato sito ufficiale brasiliano. Certo hanno ragione diversi leaders socioambientali che vedono la Cop muoversi sotto il segno dell’incoerenza e della cooptazione: la prima fra il quadro che si tratteggia e le azioni che si riescono a condurre in porto; la seconda che, in base ai luoghi in cui si svolgono gli incontri, accoglie o invita, include o esclude ora questi, ora quelli. Eppure non va disprezzato un luogo di convivenza nel complesso equilibrato in un momento storico in cui la tendenza è di risolvere divergenze e lontananze con armi belliche sempre più devastanti. Non è un ingranaggio semplice né banale. La società civile di ogni paese può migliorarlo elevando la qualità dei propri rappresentanti e vigilando in modo attivo sulla politica internazionale del proprio paese. Senza dubbio a Belém è stato offerto uno spazio di visibilità, scambio, confronti sia a segmenti sociali che a istituzioni; certo per essere visibili è bene avere pensieri e azioni di qualità e di alto profilo, bisogna volare alto. Non so fino a che punto l’insieme delle presenze del nostro paese si è reso appunto visibile.
San Paolo del Brasile 05/12/2025