Spesso come argomentazione per sostenere che la Rivoluzione Bolivariana è una “dittatura criminale”, si afferma che il Venezuela sia un “narco-Stato” che inonda gli Stati Uniti di cocaina. Si tratta di una notizia veicolata dalla propaganda neocoloniale occidentale (USA ed europea) e spesso cavalcata dalle destre venezuelane in funzione anti-chavista, come successo nelle elezioni presidenziali del 28 luglio 2024.
I governi di Hugo Chavez si sono contraddistinti per la lotta al narcotraffico, sull’onda di quella che è stata la ferrea e intransigente lotta intrapresa ormai da decenni dal socialismo cubano contro la droga che periodicamente viene ribadita[1]. Basta recarsi in Venezuela per vedere con i propri occhi il lavoro anti-droga da parte della Polizia Bolivariana negli aeroporti.
Più volte in passato agenti DEA e FBI hanno espresso ammirazione verso le rigorose politiche antidroga dei comunisti cubani. Il Venezuela chavista ha sempre seguito il modello anti-droga cubano inaugurato da Fidel Castro in persona attraverso cooperazione internazionale, controllo del territorio, repressione delle attività criminali.
Come ha scritto giustamente la giornalista Geraldina Colotti, un giornalista serio dovrebbe chiedersi chi l’ha fatta circolare e perché, e chi l’ha alimentata con dichiarazioni fornite agli Stati Uniti in cambio di benefici giudiziari: come l’ex capo dei servizi segreti venezuelani, Ugo Carvajal, poi passato nel campo di Guaidó e degli autoproclamati, secondo cui il Cartel de los Soles avrebbe dovuto invadere gli Usa con la cocaina proveniente dal Venezuela.
Il termine “Cartel de los Soles” (Cartello dei Soli) è apparso per la prima volta nel 1993. È stato coniato da due giornalisti venezuelani, Juan Carlos Issa e Rafael J. Poleo, durante un’inchiesta su due generali della Guardia Nazionale, Ramón Guillén Dávila e Orlando Hernández Villegas. Il nome deriva dalle insegne a forma di sole che i generali venezuelani di alto rango portano sulle loro uniformi, che sono diventate il simbolo di questa presunta rete di narcotraffico all’interno delle forze armate. Tutto questo avveniva il 1993, durante la Quarta Repubblica, quindi ben lontano dall’inizio della Rivoluzione Bolivariana. L’anno prima, il 4 febbraio, c’era stata la ribellione civico-militare dei militari progressisti guidati dall’allora tenente colonnello Hugo Chávez Frías, anche contro la corruzione delle Forze Armate, la cui dottrina e pratica erano dettate da quelle nordamericane, e la cui corruzione era palese e farraginosa come lo era quella della società di allora.
Rafael J. Poleo, fondatore e direttore della rivista settimanale venezuelana Zeta, una delle più influenti voci di opposizione nel panorama mediatico del paese, ha poi trasferito a piè pari quella sua scoperta per fare il proprio gioco politico contro il chavismo e al servizio degli Stati uniti.
Nel 2015, 82 giornali latinoamericani, più l’ABC spagnolo e El Diario de las Américas di Miami, pubblicarono in prima pagina articoli che sostenevano che Diosdado Cabello – vicepresidente del PSUV e ora Ministro dell’Interno, della Giustizia e della Pace, all’epoca presidente dell’Assemblea Nazionale – fosse il capo del Cartel de los Soles – il presunto “super-cartello internazionale della droga” che permetterebbe al governo chavista venezuelano di arricchirsi – e che fosse stato incriminato per questo motivo in un tribunale di New York. I giornalisti Earle Herrera e Tania Diaz guidarono un’indagine e stilarono un rapporto che dimostrava che, in realtà, non c’erano notizie, nessuna denuncia in tribunale e nessuna fonte che potesse confermare ciò che 82 giornali avevano riportato come uno scoop lo stesso giorno. Il meccanismo delle fake-news istituzionali è un circolo perverso che si alimenta da sé e occulta l’inesistenza di una fonte attendibile. Come affermava Diaz, è stata inscenata una “triangolazione mediatica contro il Venezuela” perché El Nacional citava El Diario de las Américas, che a sua volta faceva riferimento ad ABC, che a sua volta citava El Nacional. Si alimentavano a vicenda. Per tutti, Diosdado era “l’uomo forte del regime”, il capo del narcotraffico.
Diosdado decise di sporgere denuncia e da allora, ci sono stati ricorsi e ancora ricorsi, fino a quando – dopo 8 anni – la Corte Suprema di Giustizia non si è pronunciata a suo favore nel 2022, condannando il proprietario di El Nacional, Miguel Henrique Otero, a risarcire il danneggiato. Essendo nel frattempo Otero fuggito in Spagna, sono stati espropriati i locali del quotidiano, che Diosdado non ha tenuto per sé, ma ha devoluto al popolo, perché fossero la sede dell’Università Internazionale della Comunicazione (LAUICOM).
Nonostante ciò, la menzogna è stata rimessa in circolo dopo qualche tempo come se niente fosse. Nel 2019, Trump rincara la dose e definisce il Presidente costituzionale del Venezuela, Nicolas Maduro Moros, “il narcotrafficante più potente al mondo”, oltre ad accusarlo di armonizzare quello che sarebbe il Cartel de los Soles. Secondo questa narrazione, il governo venezuelano avrebbe messo in atto un complotto per inondare gli Stati Uniti con “qualcosa come 200-250 tonnellate di cocaina”.
Sebbene tale cifra appaia alta, è importante sapere che gli Stati Uniti sono il maggiore consumatore mondiale di cocaina; la Colombia è il maggiore produttore; e che il Venezuela non coltiva coca, non produce cocaina e, secondo le cifre del governo nordamericano, meno del 7% del totale della droga dal Sud America transita in Venezuela e che meno del 10% del traffico globale di cocaina attraversa il Paese[2], come mostrano le mappe sotto (la regione dei Caraibi orientali comprende la penisola di Guajira in Colombia).


Queste mappe, prodotte rispettivamente da Drug Enforcement Agency e dal Comando Meridionale degli Stati Uniti, sollevano immediatamente dubbi sul perché il Venezuela sia il Paese preso di mira.
Ad affermare questo non sono i dati recenti, ma bensì i dati degli ultimi dieci anni. Il mito secondo cui il Venezuela è un “narco-Stato” fu già sfatato nel 2017 dall’Ufficio di Washington in America Latina (WOLA) – un think tank di Washington che generalmente sostiene le operazioni di regime-change degli Stati Uniti nella regione – nonché dalla FAIR, 15 y Ultimo, Misión Verdad, Venezuelanalysis e altri enti e siti di giornalismo investigativo.
Ad oggi non esiste la minima prova a sostegno della calunnia secondo cui il Venezuela ha inondato gli Stati Uniti di cocaina negli ultimi anni. Chi si occupa seriamente di anti-droga, non ha mai incontrato il Venezuela lungo la sua strada. Il Venezuela è sempre stato al di fuori dei maggiori circuiti del traffico di cocaina tra la Colombia – il principale Paese produttore – e gli USA, il principale consumatore. Non esiste – se non nella fantasia malata di Trump e soci – alcuna corrente diretta di commercio illegale di narcotici tra Venezuela e Stati Uniti.
Basti consultare il World Drug Report 2019, ovvero il rapporto UNODC sulle droghe[3]; e il National Drug Threat Assessment del dicembre 2019, documento della DEA, la polizia antidroga americana[4].
Secondo quest’ultimo, il 90% della cocaina introdotta negli USA proviene dalla Colombia, il 6% dal Peru e il resto da origini sconosciute. Il rapporto ONU fornisce un quadro più dettagliato, menzionando il Messico, il Guatemala e l’Ecuador come le sedi di transito della droga verso gli Stati Uniti. E l’assessment della DEA cita i celebri narcos messicani come i maggiori fornitori del mercato USA.
Nel 2020 il Dipartimento di Stato USA, durante l’Amministrazione Trump, stabilisce vergognosamente una taglia da 15 milioni di dollari sulla testa del Presidente costituzionale del Venezuela, Nicolas Maduro Moros, offrendola a chi avrebbe collaborato al suo arresto. Maduro viene accusato – dagli USA – di essere il capo di un «narco-Stato» che, in collaborazione con una fazione dissidente delle Farc colombiane, era responsabile di «inondare gli Stati Uniti di cocaina». Durante l’amministrazione “democratica” di Joe Biden, la taglia passa dai 15 ai 25 milioni.
Ad agosto 2025, gli Stati Uniti raddoppiano assurdamente – in contrasto con il diritto internazionale – la ricompensa offerta a chiunque fornisca informazioni utili all’arresto del presidente del Venezuela Nicolás Maduro e sul suo Ministro dell’Interno affinché possano essere processati per “traffico di droga e corruzione”. La taglia passa da 25 a 50 milioni di dollari. Il fine, questa volta, è incolpare il Venezuela Bolivariano dell’immissione negli Usa di cocaina tagliata con fentanyl: dichiarazioni nuovamente assurde che non rispecchiano i dati ufficiali mondiali sul traffico di droga.
Il Rapporto Onu 2025, recentemente pubblicato, è di una chiarezza cristallina: solo una frazione marginale della produzione di droga colombiana passa attraverso il Venezuela nel suo cammino verso Usa ed Europa. Il Venezuela, secondo l’Onu, ha consolidato la sua posizione storica di territorio libero dalla coltivazione di foglia di coca, marijuana e simili, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali. Il documento non fa altro che confermare i 30 rapporti annuali precedenti, che non parlano del narcotraffico venezuelano perché questo non esiste.

(Foto di Infografica da Limes narcotraffico Sud America)
I dati sono chiari: solo il 5% della droga colombiana transita attraverso il Venezuela. Sono 2.370 le tonnellate – dieci volte di più – che vengono prodotte o commerciate dalla Colombia e 1.400 tonnellate passano dal Guatemala. Il Guatemala è un corridoio di droga sette volte più importante di quello che dovrebbe essere il temibile “narco-Stato” bolivariano. Ma nessuno ne parla perché il Guatemala non possiede la droga che piace a Trump: il petrolio.
Anche il Rapporto Europeo sulle Droghe 2025 dell’Unione Europea non cita neppure una volta il Venezuela come corridoio del traffico internazionale di droga, e ignora del tutto il Cartel de los Soles. Secondo il Rapporto Europeo, la cocaina è la seconda droga più usata nei 27 paesi Ue, ma le sue fonti principali sono chiaramente identificate: Colombia per la produzione, America centrale per lo smistamento, e varie rotte attraverso l’Africa occidentale per la distribuzione finale. In questo scenario, Venezuela e Cuba non ci sono.
L’Europa ha bisogno di dati affidabili per proteggere i suoi cittadini dalla droga, quindi produce studi accurati. Gli Usa hanno bisogno di giustificazioni per il loro bullismo petrolifero, quindi producono propaganda mascherata da intelligence. Eppure, anche le menzogne USA hanno un limite: quando sono smentite dalle sue stesse istituzioni anti-droga.
I Rapporti della DEA 2024 e 2025, infatti, affermano chiaramente che il Venezuela non è toccato dal narcotraffico mondiale.
L’Amministrazione per il Controllo delle Droghe degli Stati Uniti (DEA) ha riconosciuto nei suoi rapporti annuali (rapporti “National Drug Threat Assessment” del 2024 e del 2025) che gli Stati Uniti hanno un rapporto strutturale con il traffico di droga. Ha ammesso problemi estremamente gravi, come il fatto che la popolazione è immersa nel consumo di vari tipi di droghe e che il Paese è l’epicentro delle reti di traffico di droga, essendo produttore, mercato di destinazione di stupefacenti e una grande macchina finanziaria del denaro della droga.
Nel rapporto del 2024 si afferma che “i cartelli messicani ottengono carichi di diverse tonnellate di cocaina in polvere e base di cocaina dai trafficanti sudamericani, per poi contrabbandarla attraverso rotte terrestri o fluviali costiere in America Centrale, o via mare verso isole caraibiche come Porto Rico e Repubblica Dominicana, prima di introdurla negli Stati Uniti”.
In questo riferimento alle rotte caraibiche, non viene fatto alcun cenno al Venezuela. Nel rapporto del 2025, la DEA afferma che la maggior parte dei sequestri di cocaina sono stati effettuati in California, al confine con il Messico, dimostrando che gran parte del traffico di tale stupefacente avviene attraverso rotte terrestri e marittime nell’Oceano Pacifico.
In entrambi i rapporti, la DEA cita specificamente Colombia, Perù e Bolivia come paesi produttori di cocaina e fa riferimento a Messico, El Salvador, Honduras, Guatemala, Porto Rico e Repubblica Dominicana come punti chiave della rotta della cocaina verso gli Stati Uniti.
La DEA ammette nei suoi rapporti del 2024 e del 2025 che gli Stati Uniti sono il fulcro del riciclaggio di capitali provenienti dal traffico internazionale di droga. Sottolinea che sul suolo statunitense operano riciclatori di denaro che prestano i loro servizi a diverse organizzazioni criminali.
La DEA indica metodi quali case di cambio di criptovalute, portafogli digitali, trasferimenti di tipo mirror, compravendita di beni mobili e immobili tramite agenzie immobiliari statunitensi e altri meccanismi esistenti nel sistema bancario nordamericano.
Secondo la DEA, e come affermato dall’ONU (ONU contro la droga e il crimine, UNODC), il Venezuela non è un Paese produttore di droga. C’è solo un piccolo accenno al cosiddetto “Tren de Aragua” nel rapporto DEA del 2025, dopo che è stato classificato come “organizzazione terroristica”. Si tratta di un riferimento fondato su prove segrete, che non lo sarebbero se avessero un minimo di consistenza e fossero supportate da altre fonti. “Come può un’organizzazione criminale così potente da meritare una taglia di 50 milioni di dollari, essere completamente ignorata da chiunque si occupi di antidroga al di fuori degli Usa?” – si è domandato Arlacchi.
Infatti né nel rapporto del 2025, né in quello del 2024, né in nessun altro rapporto precedente della DEA, compare da nessuna parte il cosiddetto Cartel de los Soles, poiché il Venezuela non figura come Paese produttore di cocaina nemmeno secondo lo stesso governo statunitense, il quale invece mediaticamente lancia accuse false.
Nonostante l’ONU, un mese fa, abbia certificato che i principali produttori al mondo di cocaina sono la Colombia, il Perù e la Bolivia, nonostante l’ONU abbia certificato che il primo consumatore al mondo di cocaina siano gli Stati Uniti, e nonostante abbia certificato che l’87% della droga arriva negli USA da quei paesi attraverso l’oceano Pacifico e solo il 5% transita dal Venezuela attraverso l’Oceano Atlantico, gli Stati Uniti hanno inviato 4.000 marines con navi da guerra di fronte alle coste venezuelane “per combattere il traffico di droga” e per minacciare il presidente socialista Maduro definendolo senza alcuna prova documentata “un narcotrafficante”.
Il Cartel de los Soles è una finzione comunicativa ed esiste solo sui tavoli di progettazione propagandistica del governo statunitense, dell’opposizione venezuelana e della destra internazionale.
Il Cartel de los Soles è una creatura dell’immaginario trumpiano. Il “cartello della droga” che sarebbe “guidato dal presidente del Venezuela Maduro” non viene citato né nel rapporto del principale organismo mondiale antidroga né nei documenti di alcuna agenzia anticrimine europea o di altra parte del pianeta.
La politica di aggressione statunitense contro i popoli non sottomessi al volere USA non conosce sosta ed è sostenuta da mezzi di informazione di proprietà di imprenditori milionari o governi allineati o ricattati dagli Stati Uniti.
[1] https://italiano.prensa-latina.cu/2024/08/16/cuba-ribadisce-la-sua-intransigenza-di-fronte-al-traffico-di-droga/
[2] https://italiacuba.it/2020/03/30/le-accuse-di-trump-a-maduro-sono-una-confessione-sul-golpe-di-guaido/
[3] World Drug Report 2019, https://wdr.unodc.org/wdr2019/prelaunch/WDR19_Booklet_4_STIMULANTS.pdf
[4] National Drug Threat Assessment 2019, https://www.dea.gov/sites/default/files/2020-02/DIR-007-20%202019%20National%20Drug%20Threat%20Assessment%20-%20low%20res210.pdf