La Cop30 che si apre in Brasile sarà segnata dal passaggio, in termini di responsabilità e interventi ambientali, dall’Occidente a Cina e Brics.
In Italia si parla poco di questo appuntamento, ma la crisi climatica va peggiorando, mentre cresce la distanza tra le persone, le giovani e i giovani in modo particolare, sempre più sbigottiti e i governi sconsiderati.
Il nostro governo arriva alla COP con una elaborazione molto negativa, negazionista, che non riesce a coprire i suoi ritardi e inadempienze rispetto agli impegni internazionali.
Il Green Deal europeo è stato da tempo seppellito sotto la furia riarmista delle forze di centro-destra e centro-sinistra, e Giorgia Meloni ci va piatta piatta e definisce “ideologica” la sostenibilità ambientale a dispetto della scienza. Lei e il suo ministro Pichetto Fratin non trovano di meglio che correre in aiuto dell’industria continentale dell’auto per tenere in vita i motori endotermici oltre le date stabilite. Neutralità tecnologica – dicono i due – mentre rilanciano le proposte di retroguardia legate ai biocarburanti (che inquinano comunque e tolgono spazio all’agricoltura di qualità) e sostengono le importazioni di gas gas liquido, quello dei loro amici Trump e Milei, mandando a carte quarantotto l’obiettivo di emissioni climatiche zero al 2040.
A Belem ci sarà un nuovo round di incontri e negoziati, che purtroppo spesso danno il senso di una liturgia semivuota e dilatoria, ma che questa volta porterà su di sé un alto valore simbolico.
La considerazione per la biosfera passerà soprattutto nelle mani e nelle responsabilità dell’emisfero Sud del Pianeta. E’ proprio per questo che gli atteggiamenti, le prevedibili meline, di chi non è mai riuscito sinora a liberarsi della propria visione colonialista e di supposta superiorità risultano sempre più insopportabili.
I segnali che continuamente provengono dalla natura, dalla casa comune, sono drammatici. Lo vediamo da noi, quando ormai ogni anno siamo a fare la conta farisaica dei danni da calamità naturali, lo vediamo distogliendo l’occhio verso un mondo dove, ad esempio, il fenomeno della rapida intensificazione dei cicloni sta diventando sempre più comune nei Caraibi. e c’è una spiegazione nell’effetto del riscaldamento globale.
In Europa la temperatura media ha già superato la soglia di 1,5°C e già in questa estate ondate di calore ed eventi estremi sono costati – tanto per ridurre il tutto a un dato monetario, che non è l’unico a cui guardare – 43 miliardi di euro, di cui 12 per l’Italia.
Di fronte a tutto questo, alle involuzioni tragiche che maturano in Europa e negli Usa, c’è chi prova a fare cose differenti nonostante parta da condizioni di difficoltà generali ed economiche enormi. L’Africa, per esempio, sta cercando di investire nella sua transizione ecologico-ambientale, dando così il suo contributo nel contrasto al cambiamento climatico. Certo per fare questo quel continente ha bisogno di pensare a un sistema di finanziamento sotto il proprio controllo, di rivedere il sistema delle compensazioni perché senza benefici per le proprie popolazioni, di pensare le politiche di adattamento come occasione per ripensare produzione e infrastrutture, di guardare alle proprie ricchezze minerarie fuori da una logica estrattivista.
Non è solo l’Africa che è in grado di dare qualche segnale incoraggiante a fronte dei disastri dei vari Trump, Von der Leyen o Meloni. Vedremo naturalmente come finirà la COP 30, ma se quell’esito non sarà del tutto negativo forse lo si dovrà anche al ruolo dei Brics, della Cina e del Brasile.
Se la guida USA spinge, a dispetto dei santi, verso trivellazioni a tutto spiano e considera le rinnovabili una stupidaggine assoluta, la guida Cinese, che pure ha dovuto fare i conti nel tempo con enormi contraddizioni legate alle sue linee di sviluppo impetuoso, ha dato indicazioni a tutta la comunità internazionale per determinare un abbassamento delle emissioni. Mentre dice questo la Cina, solo nei primi sei mesi del 2025, ha installato una potenza solare di 12 volte maggiore rispetto agli USA.
Significativamente, la COP 30 potrà dunque essere caratterizzata da un protagonismo nuovo, che cambia asse rispetto al passato e che mette in secondo piano i paesi che sinora hanno dominato il mondo, le sue dinamiche produttive, geopolitiche, determinando impatti ambientali enormi e alla fine non più sopportabili. Vedremo dunque se, anche grazie a questo apporto, vi sarà ancora spazio, per dirla con Leonardo Boff, per l’homo sapiens a fronte di un declino dell’homo demens.