La marea femminista in piazza per boicottare guerra e patriarcato

Con freschezza, caparbietà, ironia e una grande radicalità più di 70 mila donne hanno animato con i loro corpi, le loro voci, i loro desideri la manifestazione nazionale di Non una di meno a Roma, sabato 22 novembre per “sabotare la guerra e il patriarcato”. Il camion che apre la manifestazione riporta le parole di Audre Lorde, femminista e antimilitarista statunitense del secolo scorso “Non sono libera finché una donna non è libera, anche quando le sue catene sono molto diverse dalle mie.”

Si caratterizza così il 25 novembre 2025, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, consegnando allo spazio pubblico la postura politica di questa stagione del femminismo, connesso al cuore della lotta internazionalista per la pace e per l’autodeterminazione dei popoli oppressi a partire dal popolo palestinese; infatti i colori della bandiera palestinese si mescolano al fucsia del movimento transfemminista. L’approccio è stato decisoin un dibattito intenso fra i vari nodi del movimento, in incontri nazionali densi di approfondimenti e riflessioni e in una relazione stretta con D.iRe (Donne in rete contro la violenza). Il movimento non lavora sulle ricorrenze, ma le costruisce nella quotidiana lotta contro tutte le manifestazioni della violenza patriarcale fisica, sessuale, economica, psicologica culturale, a partire dal femminicidio, che è l’iceberg della discriminazione patriarcale fondativa della nostra società. Si riusano in una nuova dimensione le parole storiche del femminismo rivoluzionario: il boicottaggio degli strumenti e delle opere dell’avversario, il patriarcato; si rifiuta la guerra, che è lo snodo finale di rapporti capitalistici e coloniali e oggi lo sbocco dell’agire politico delle élites neoliberiste occidentali. Esse, pur diverse nelle matrici culturali (liberale, socialdemocratica, conservatrice o di destra), convergono su politiche che difendono interessi finanziari, modelli economici predatori e suprematisti, che mercificano e disumanizzano popoli e corpi non conformi e allargano disuguaglianze e povertà, mettendo a repentaglio anche la sopravvivenza del pianeta. In questo intreccio di relazioni di dominio si rafforza la pervasività e la violenza del patriarcato, anche nel contesto italiano.

Da un punto di vista simbolico possiamo considerare un atto dovuto  l’emendamento passato all’unanimità in commissione giustizia del Senato che aggiunge all’articolo 609 bis del codice penale le parole “consenso libero ed attuale “riconoscendo così alle donne la libertà di decidere sul proprio corpo anche ritirando il consenso durante un rapporto sessuale; dobbiamo anche  constatare che la modifica del codice  è in grande ritardo e non ripara lo spettacolo vergognoso e umiliante  che da decenni si svolge nei tribunali quando le donne vittime di violenza sopportano interrogatori colpevolizzanti e perfino sentenze che giudicano la credibilità del loro rifiuto. Non sappiamo se la modifica farà dismettere queste procedure. Vanno invece denunciati con forza gli orientamenti del Governo che pensa di essere in prima linea a risolvere il problema della violenza di genere introducendo un nuovo reato di femminicidio e rafforzando le pene, prevedendo l’ergastolo. Ciò significa non soltanto modificare in senso regressivo il percorso penale, ma considerare il femminicidio solo un reato individuale, non un fenomeno strutturale da sradicare con educazione, cultura, puntando sulla prevenzione. Se nelle scuole viene rimossa e/o limitata dal ministro Valditara la possibilità di fare educazione sessuale o educazione all’affettività, se non viene riconosciuto il ruolo e l’esperienza dei Centri Antiviolenza, se i fondi per il reddito di libertà sono assolutamente insufficienti, vuol dire che si vuole continuare solo a contare il numero delle donne uccise. Al momento il Governo non provvede neppure ad aggiornare questi dati, che ci vengono forniti dall’Osservatorio di Non una di meno (78 femminicidi nel 2025) Nella finanziaria i fondi al welfare vengono tagliati a favore del riarmo e si assegnano a pioggia bonus per i figli e per le madri che rinunciano al lavoro per accudirli. Le donne si vogliono vive, libere e autodeterminate e continueranno a lottare.