Il biennio rosso non solo alla Fiat

“Il Biennio Rosso in Ciociaria, 1919-1920” di Maurizio Federico, ristampato in forma anastatica dalla figlia Irina con la cura di Francesca Di Fazio, a quarant’anni dalla prima edizione, anche quella autoprodotta dall’autore di cui vennero vendute 5000 copie con centinaia di presentazioni alle Feste dell’Unità, ebbe il grande merito non solo di illuminare una fase storica importante del Basso Lazio, ma anche di consentire una più compiuta valutazione della vicenda nazionale, dei suoi sviluppi, della drammatica sconfitta.

Se ne accorse e lo apprezzò Paolo Spriano che delle lotte nelle fabbriche a Torino e nel Nord Italia era allora lo storico più impegnato e che su quella base scrisse anche la fondamentale storia del Pci, il cui gruppo dirigente, che rifondò il Partito comunista dopo il congresso di Lione nel 1926, si formò nel crogiolo dell’occupazione alla Fiat con il gruppo dell’Ordine Nuovo di Gramsci, Togliatti e dell’operaio Vincenzo Bianco.

Federico, giornalista dell’Unità che con questa opera inizia la sua prestigiosa attività di storico, che ne fa la fonte principale per la storia della Frosinone moderna, da dirigente politico, fondatore di Rifondazione Comunista a Frosinone, ne è pienamente consapevole.

La struttura dei capitoli è finalizzata a ordinare i principali fattori che aiutano ad avere un quadro realistico della vicenda. La divisione della provincia in due circondari, uno gravitante su Roma, l’altro su Caserta e la Provincia Terre di Lavoro. Il dopoguerra con il rientro dei contadini dal fronte, la crisi economica, la rinascita delle leghe e le lotte per i patti agrari con l’occupazione delle terre. Il nascente movimento operaio concentrato soprattutto nelle cartiere della Valle del Liri con gli scioperi operai e le serrate degli industriali. Le lotte dei dipendenti pubblici, ferrovieri, postelegrafonici, insegnanti. La ripresa del Partito socialista e l’elezione dei sindaci in molti comuni con la sostituzione ai balconi del tricolore sabaudo con la bandiera rossa: un ingenuo disegno scarlatto che spaventava anche la piccola borghesia, ma anche una manifestazione di alterità e di indipendenza in una regione con poche presenze anarchiche. Le origini del Partito comunista con la presenza costante di Bordiga, ma anche della medica condotta Maria Lombardi che manifesta una maggiore connessione sentimentale con le plebi rurali e dopo essere stata la prima segretaria della Federazione di Caserta esce dal Partito, viene perseguitata dal Regime e finalmente rientra nel Partito nuovo di Togliatti dopo la Liberazione. I deboli tentativi di organizzazione degli Arditi del popolo per contrastare la violenza delle classi possidenti e degli squadristi fascisti e nazionalisti.

Il capitolo sulla caduta del movimento, la sconfitta e l’avvento del fascismo, che chiude la narrazione, illustra come, aldilà dei limiti dei dirigenti politici e sindacali, più che al Nord qui pesarono anche debolezze strutturali tre le quali la crisi economica che costrinse all’emigrazione i braccianti e gli operai, spesso quelli più combattivi. Una capacità di lettura che sa guardare in faccia la situazione materiale e la forza dell’avversario come seppero fare quei quadri mandati a formare il Pc clandestino dopo aver assistito alle lezioni sul fascismo che Togliatti tenne a Mosca nel 1934, Il Corso sugli Avversari, elaborazione del Rapporto sul fascismo che Gramsci, Tasca e un giovanissimo Silone scrissero per l’Internazionale Comunista.

Una lettura quindi appassionante come un romanzo con a chiusura appendici con documenti, foto, statistiche a testimoniare lo scrupolo della ricostruzione storica.

Un libro utile anche oggi per tornare ai fondamentali necessari a ricostruire radicamento sociale e lotta politica.