La logica richiede equilibrio, quello che manca a guerrafondai e soppressori del dissenso democratico – Tre domande a: Piergiorgio Odifreddi

Piergiorgio Odifreddi, matematico, saggista

Alberto Deambrogio: Odifreddi, lei ha spesso espresso posizioni critiche verso l’ingerenza della NATO e l’idea di un’Europa militarmente schierata. Il nuovo manifesto europeista a prima firma Letta propone un’Europa che si deve riarmare per affrontare sfide geopolitiche. Come considera questa proposta?

Piergiogio Odifreddi: Io credo che sia semplicemente una pazzia. Anzitutto devo dire di essere contrario alla NATO da cinquant’anni. Mi ricordo che quando eravamo studenti appena laureati c’erano le borse di studio del CNR per chi voleva fare carriera universitaria. Una parte di queste borse erano finanziate dalla NATO e già allora c’era un movimento, a cui ovviamente avevo subito aderito, per evitare di farsi finanziare da un organismo di quel genere. La NATO, secondo me, è una cosa anacronistica; lo era già quando è stata creata nel periodo 1947/48, otto anni prima che poi venisse creato il Patto di Varsavia. Quindi dire che era un’associazione difensiva deve comprendere il fatto che si difendeva però da cose che non c’erano, che semmai sarebbero venute in seguito. Va anche sottolineato con forza che quando si dissolse l’Unione Sovietica nel 1991 e quindi il patto di Varsavia cadde automaticamente, anche la NATO andava dissolta; invece, paradossalmente ha acquistato una caratteristica offensiva, perché ha incominciato a far guerre a destra e manca. Ricordiamoci il Kosovo, per esempio, dove il Presidente del Consiglio italiano D’Alema diede il benestare per l’uso delle basi NATO e partecipò, quindi, direttamente. Altro esempio: la guerra in Afghanistan che è durata vent’anni ed è stata una guerra ufficialmente della NATO, in cui gli Stati Uniti hanno usato l’articolo 5 per coinvolgere in particolare anche noi italiani, ultimi ad uscire dall’Afghanistan. Ancora: la guerra in Iraq, l’invasione per il cambio di regime in Libia e così via… La NATO ha queste caratteristiche e dire che noi ci dobbiamo difendere implicherebbe l’idea che tale difesa dovrebbe essere approntata nei nostri stessi confronti; difenderci da noi stessi, questo è vero, perché siamo molto pericolosi! Il progetto di Letta è semplicemente un delirio. Se uno guarda le cifre degli armamenti si accorge che i paesi nella NATO spendono già oggi dieci volte più della Russia e quindi c’è poco da fare, noi spendiamo la maggioranza delle spese militari mondiali: circa il 60%, il resto del mondo ne spende soltanto il 40%. Non è vero che ci dobbiamo armare di più e non è vero che c’è un pericolo dall’altra parte. Il pericolo siamo noi e quindi dovremmo prenderne atto e agire di conseguenza.

A.D.:  In un momento storico caratterizzato da una grave crisi democratica e da un crescente clima bellicista, che ruolo possono avere gli intellettuali, gli uomini e le donne di scienza? Devono limitarsi al loro ambito disciplinare o hanno il dovere di esporsi pubblicamente, anche a costo di essere etichettati, per contrastare derive autoritarie o l’escalation militare?

P.O.:  Io credo che ci sia un dovere morale, più che un dovere politico, di dire la propria opinione. Gli intellettuali, che per definizione usano l’intelletto, dovrebbero essere in grado di interpretare quello che succede attorno a noi. Il fatto poi che siano scienziati da una parte, o umanisti dall’altra importa poco, perché tutti noi andiamo a votare. Non c’è un censo che permette soltanto a certe persone di votare, così dobbiamo e possiamo votare quindi dire la nostra quando si tratta di scegliere i rappresentanti. E’ ovvio che dobbiamo anche dire la nostra: possiamo e dobbiamo, appunto, quando si tratta di prendere posizione, soprattutto perché molte persone purtroppo sono poco attrezzate per leggere criticamente le news, cioè il modo in cui la propaganda viene distribuita all’interno dei telegiornali e dei media in generale. L’intellettuale, quindi, svolge un ruolo fondamentale e dovrebbe essere un po’ la coscienza critica. Proprio in questi giorni sto finendo un libro su Bertrand Russell, che per me è stato proprio un esempio. Egli fu una persona che di professione faceva il matematico – logico esattamente come me e per questo l’ho conosciuto agli inizi quando ero ragazzo. Questo però non gli ha impedito, anzi lo ha spinto a prendere posizione su questioni politiche: sul pacifismo, sulla guerra in Israele. La cosa sorprendente di Bertrand Russel è che lui morì a 98 anni all’inizio del 1970 e due giorni prima di morire scrisse una lettera, che letta oggi fa accapponare la pelle perché parla della Palestina. Siamo appunto nel 1970 a più di 50 anni fa e sembra di sentire un commento su quello che è successo in queste settimane o negli scorsi mesi nel rapporto tra Palestina e Israele.  Questo è quello che devono fare gli intellettuali, cioè avere il coraggio di usare i propri mezzi tecnici, come nel caso di Russel, per esempio, e più modestamente nel caso mio, usare la logica per mostrare come non si possano sostenere tesi contraddittorie fra loro. Non si può dire, come per esempio nel caso della Russia regolarmente si fa, che essa in realtà non è riuscita ad avanzare di 1 km, combattendo per quattro anni senza nessun successo militare da una parte e poi, dall’altra, dire però che intende arrivare fino a Lisbona. Dobbiamo metterci d’accordo: o è un grosso pericolo dal punto di vista militare e allora magari l’ordine del discorso sarà di un certo tipo, oppure non vale niente perché intanto è l’abbiamo fermata. Si tratta di una piccola applicazione, un esempio, ma fa vedere come la logica possa farti rendere conto che non si può dire una cosa e il suo contrario allo stesso tempo.

A.D.: A Torino dopo la vicenda della censura ad Angelo D’Orsi, ora lo sgombero del centro sociale Askatasuna, che ha visto dallo stesso lato, quello del restringimento della democrazia, degli spazi del dissenso e dell’uso della repressione sia il Governo che il Comune. In passato Torino è stata laboratorio fecondo di dialettica sociale, di sperimentazione per conquiste importanti, ora rischia di diventare invece avanguardia di una sperimentazione di segno molto differente, proprio quando la crisi complessiva del tessuto socioeconomico richiederebbe risposte avanzate, aperte. Lei che ne pensa?

P.O.: Beh… certo da questo punto di vista Torino è quasi emblematica perché è sempre stata la città dei lavoratori della grande industria, della Fiat, quindi delle lotte operaie, ovviamente dei sindacati e così via. Adesso essa è un po’ moribonda da questo punto di vista, anche perché gli Elkann stanno scappando a gambe levate, per andare a fare soldi altrove. È interessante che ci siano due crisi parallele in un certo senso, proprio in questi giorni, in queste settimane in cui da una parte c’è il potere istituito della Stampa, giornale che viene “aggredito”. Si è trattato in realtà di ragazzate, hanno fatto manifestazioni, sono penetrati in redazione, ma non c’è stata assolutamente una violenza fisica. Certo, si è gettata a terra un po’ di carta e così via… su questo si è fatto un can can, si è scomodato il Presidente della Repubblica per dire: siamo dalla vostra parte, per la libertà di stampa! Alla Stampa ho collaborato per trent’anni in maniera alterna e però sottolineo, per coloro che non vivono a Torino, che è sempre stata chiamata la bȕsiarda, cioè una che dice bugie. Ora si vuole prendere come esempio di democrazia.  La Stampa organo, diciamo così, di risonanza della famiglia Agnelli da sempre, già col vecchio Senatore, continua a esserlo adesso con la famiglia Elkann e non è che la si possa prendere proprio ad esempio delle libertà e della   democrazia; quindi, non bisogna esagerare. Dall’altra parte i giovani: se non sono i giovani che si lamentano e che fanno proteste chi ci dovrebbe essere? È vero, Askatasuna ha scelto la linea un po’ più dura, un po’ più manifestatoria, compresa l’occupazione, però ben venga che ci sia qualcuno che si ribella e non bisogna esagerare con il pericolo portato da questi gruppi. Non bisogna esagerare altresì con la rispettabilità democratica di un giornale come la Stampa. È un po’ quello che dicevo prima rispetto alla logica, per mettere insieme le cose bisogna avere e rispettare un poco di sano equilibrio.