L’alba di un Popolo, la piazza riscrive l’agenda politica

La giornata di ieri, 3 ottobre 2025, non è stata semplicemente un giorno di sciopero. È stata una cesura storica, la riappropriazione dello spazio pubblico e del discorso politico da parte di un popolo a lungo dato per dormiente. L’immagine di un’Italia attraversata da oltre 100 cortei, con una partecipazione che supera i due milioni di persone, non è solo la cronaca di un successo sindacale, ma il manifesto vivente di una nazione che si è risvegliata. Mentre la politica dei palazzi continuava il suo stanco rituale, ignara o volutamente sorda, un Paese reale ha gridato la sua esistenza, la sua rabbia e, soprattutto, la sua irriducibile speranza.

L’adesione allo sciopero, con una media nazionale che sfiora il 60%, e i 300.000 manifestanti che hanno inondato le vie della Capitale, sono cifre che trascendono la statistica. Rappresentano un mandato popolare inequivocabile contro una classe dirigente percepita non solo come distante, ma come complice. Complice nel silenzio assordante di fronte a un genocidio, quello di Gaza, avallato con la retorica della diplomazia e, di fatto, sostenuto con l’invio di armi. La protesta non era solo per la Palestina, ma contro la nullità politica che governa le nostre vite, una politica che sacrifica l’etica sull’altare di interessi geopolitici incomprensibili e inaccettabili per la maggioranza dei cittadini.

Questa mobilitazione, per la sua vastità e la sua determinazione, cambia radicalmente lo scenario politico. Dopo decenni di frammentazione sociale, di individualismo indotto e di rassegnazione, si è manifestata una forza collettiva che obbliga i politici politicanti a fare i conti con il popolo. Nulla sarà più come prima. Il patto di silenzio tra governanti e governati è stato infranto. La piazza ha dimostrato che è possibile costruire un’agenda dal basso, radicata nei bisogni reali delle persone.

Ora, il compito che ci attende è immenso e affascinante. Abbiamo la responsabilità di costruire insieme, come parte integrante di questo movimento, con umiltà ma con la forza della ragione, un processo di alternativa credibile alla deriva liberista e guerrafondaia. Non si tratta più solo di protestare, ma di proporre. Si tratta di pretendere che le ingenti risorse, oggi destinate a gonfiare i bilanci della NATO e a finanziare la produzione di armi, vengano immediatamente dirottate dove servono davvero.

Quelle risorse devono essere investite nella sanità pubblica, per abbattere le liste d’attesa e garantire il diritto alla cura per tutti. Devono finanziare la scuola, per dare un futuro ai nostri giovani e valore al lavoro degli insegnanti. Devono potenziare i servizi pubblici e sociali, ricostruendo quel tessuto di welfare che anni di tagli hanno devastato. Devono, infine, tradursi in un aumento concreto di salari, stipendi e pensioni, per restituire dignità a chi lavora e a chi ha lavorato una vita intera.

La giornata di ieri ci ha lasciato una lezione fondamentale: la lotta paga. Se un popolo unito riscopre la propria forza, può davvero incrinare il sistema e iniziare a costruirne uno nuovo, fondato sulla giustizia sociale, sulla pace e sulla dignità umana. Quella di ieri non è stata la fine di una protesta, ma l’inizio di una nuova stagione di speranza e di impegno. L’alternativa di sistema non è più un’utopia, ma un orizzonte possibile.