Ci lasciava il 7 dicembre del 2020, 5 anni fa Lidia Menapace a 96 anni. Lidia è stata partigiana, sessantottina marxista, femminista e comunista. Nella sua lunga e bella vita, di cui lei apprezzava ogni giorno e ogni minuto, ha attraversato da protagonista con curiosità, ironia e generosità, i momenti cruciali del 900’ e del nuovo millennio, in prima fila nei movimenti politici e sociali, che ne hanno determinato le svolte epocali: la sconfitta del nazifascismo, la ricostruzione post-bellica nel segno delle lotte per il lavoro e la concretizzazione dei diritti sociali, civili e politici, a fianco delle lotte di liberazione dei paesi del Sud del mondo, nel contrasto alla globalizzazione liberista, ma soprattutto sempre impegnata a tessere percorsi collettivi teorici e concreti di avanzamento e sviluppo della rivoluzione più lunga e profonda, quella delle donne contro il patriarcato
Della sua esperienza partigiana combattente a Novara Lidia ha parlato e scritto ampiamente, narrando sia il ruolo che, nella sua decisione di partecipare alla resistenza, aveva avuto l’ambiente famigliare, il continuo controcanto polemico che il padre repubblicano e la madre producevano nei confronti della propaganda fascista della scuola e della società, sia il peso delle frequentazioni della Università Cattolica, che Lidia aveva scelto con cura proprio come spazio relativamente sgombro dalla egemonia fascista. Da partigiana iniziò una riflessione sulla violenza della guerra e sulla possibilità di circoscriverla e limitarla, a partire da sé, esercitando una forma di obiezione di coscienza. “Spero che venga presto il caldo, perché fino a che fa freddo il plastico bisogna portarselo addosso, a contatto con la pelle, diventa pericoloso ed esplode con il freddo. Io non porto armi, devo dire soprattutto perché ho paura di farmi male da sola, le formazioni non obiettano, ricordo ciò a gloria della Resistenza. Penso però che far saltare un ponte o interrompere una ferrovia significhi evitare l’arrivo di truppe e ridurre il rischio di vittime civili, Per questo non porto armi, ma il plastico sì”.
Antimilitarista convinta, Lidia ha tentato di decostruire la struttura patriarcale che sorregge ogni esercito, la obbedienza, la gerarchia, il cameratismo e questo non solo per criticare l’esistente, ma per studiare concretamente tutte le modalità per fare uscire la guerra dalla storia
il 5 luglio del 1968 si era dimessa dalla DC, con una lunga lettera che sviluppava un’analisi articolata sul ruolo di quel partito ma soprattutto sul neocapitalismo, i nuovi aspetti dell’imperialismo, la collocazione internazionale che sarebbe stata utile all’Italia al posto della discutibile appartenenza al Patto Atlantico, che nella DC nessuno osava mettere in discussione. Ma Il punto dirimente del documento era l’adesione al marxismo[1] “ A questo punto ritengo di dover dichiarare che la lotta di cui parlo sopra si può fare oggi con una scelta solo marxista…..il marxismo del quale parlo non è il marxismo degli aristotelici marxisti , degli scolastici marxisti, dei filologi del marxismo,, non è quel marxismo trionfalistico e dogmatico che ritroviamo tanto spesso negli intellettuali di stretta osservanza o nei funzionari del PCI , un marxismo galileiano, come è stato un’altra volta detto , un marxismo come dottrina politica economica coeva della società industriale, fondato su di un’analisi scientifica della realtà storica sociale, economica e politica, dunque di impostazione induttiva, creativa, sperimentale, e nello stesso tempo non “neutrale”, come vogliono far credere di essere in genere la scienza economica, quella politica e le scienze sociali di impostazione americana, bensì orientate all’azione secondo scelte di valore”. [2]
Con questa idea di un marxismo vivo, che si nutre nella pratica e nel conflitto sociale Lidia approccia anche il femminismo. Sentiva di far parte di un movimento in cammino continuo, anche in forme carsiche, quello femminista. Partiva da sé e dalle proprie esperienze di vita e aveva per questo la capacità e il coraggio di nominare le contraddizioni e i conflitti nel movimento, esplicitando sempre in modo chiaro la propria posizione, con tutte le conseguenze del caso. Lidia ha sempre insistito anche sul dato quantitativo delle donne, che sono la metà della umanità e forse anche più della metà e quindi soggetto fondamentale di qualsiasi trasformazione; per questo le ha incontrate e ascoltate anche se non si dichiaravano femministe e addirittura creavano contradizioni anche con il femminismo; come ha fatto nel 1982 fondando il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute una associazione no profit fondata da prostitute e non; nel 2004 il Comitato ha ottenuto l’iscrizione nell’anagrafe regionale delle ONLUS. L’obiettivo principale dell’associazione era dare aiuto alle persone prostitute. Pur avendo agito e scritto molto e prodotto teoria femminista avanzatissima, non è stata mai accettata nelle élites femministe; forse perché lei conosceva e prediligeva la forza dirompente del femminismo popolare, quando l’onda del movimento tracima e coinvolge la società tutta. Si va nei piccoli paesi di provincia a parlare di divorzio, di aborto, di stupro come reato contro la persona, di violenza sessuale, di patriarcato, di economia della riproduzione, di fecondazione assistita e si produce un cambio delle coscienze che è come un innamoramento, dal quale anche le accademie vengono disordinate e riallineate alla realtà. La narrazione “scolastica” del femminismo parla di quattro ondate, come se ci fossero linee di divisioni nette e insuperabili. Lidia le ha costruite tutte e non era divisa in pezzi, era comunista e sapeva che nell’avanzare positivo dell’approccio intersezionale (non a caso formulato dalle femministe nere Usa e dalla prima ricerca della comunista Angela Davis , scritta nel1971 nelle patrie galere), non si trattava di litigare su quale contraddizione pesasse di più nel reciproco intreccio, ma sapere che nella globalizzazione neoliberista la contraddizione capitale/lavoro riordina tutte le altre nei vari contesti e nelle singole vite Per Lidia il femminismo è plurale per definizione non si separa per questo, ma trova e costruisce luoghi per discutere, crescere e produrre unità. Contro il nemico comune, il patriarcato e contro l’evento che ne riassume l’orrore e la disumanità, cioè la guerra. Contro la guerra aveva fondato nel 2000 l’Associazione Rosa Luxemburg, con l’obiettivo di espellere la guerra dalla storia con nuove forme del fare politica che superasse la crisi dei partiti del 900.
Dopo la esperienza in Parlamento al Senato nel secondo Governo Prodi, fu sempre iscritta e attiva in Rifondazione, concordando con il suo posizionamento contro tutte le élites neoliberiste e patriarcali, quelle organiche al fascismo e al suprematismo razzista e quelle delle socialdemocrazie europee che hanno cavalcato la globalizzazione liberista . Stava in direzione ostinata e contraria e nello stesso tempo in prima fila nelle iniziative delle organizzazioni unitarie di massa nell’ANPI, nell’Udi pronta anche a 90 anni a salire sui treni e, dalla sua Bolzano a venire alle feste, ai convegni, alle riunioni, sia che si trattasse di grandi platee, che la ascoltavano senza fiatare, sia che le riunioni fossero più piccole, in qualche paese sperduto. Gustava poi con malizia da ragazzina la felicità dello stare insieme prima e dopo le riunioni, l’intimità allegra del buon mangiare e del buon bere. Ci manca molto oggi: ci aiuterebbe a orientarci nella nuova fase che stiamo attraversando, di crisi dell’ ordine internazionale a egemonia Usa, di necessità di scelte nette per impedire la guerra e la distruzione dello stato sociale in Europa. Sarebbe stata con noi a costruire lo sciopero generale contro la guerra e il riarmo.
[1] Io partigiana, la mia Resistenza, Lidia Menapace, edizioni Manni, 2014 pag. 72
[2] Le mie dimissioni, da Un pensiero in movimento, scritti scelti. Lidia Menapace, edizioni Alfabeta Verlag 2023, pag.217