Per una scuola del sano dubbio verso tutti i poteri Tre domande a Matteo Saudino

Matteo Saudino, insegnante, ideatore del blog “BarbaSophia”

Alberto Deambrogio: Professore, hai spesso criticato la deriva neoliberista che trasforma l’istruzione in preparazione al mercato del lavoro. Oggi, tra la retorica del merito punitivo e l’ingresso di esponenti delle forze armate nelle aule per l’orientamento e PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), stiamo assistendo a un’evoluzione della scuola da azienda in caserma? In che modo questa simbiosi tra logica produttiva e logica militare sta alterando il DNA democratico della scuola italiana?

Matteo Saudino: Il processo di smantellamento della scuola pubblica nazionale inizia con l’autonomia scolastica. L’autonomia scolastica, che poteva dare chiaramente anche delle particolarità, poteva essere un’opportunità per valorizzare i territori, la partecipazione anche per i collegi docenti al fine di migliorare la scuola italiana, si è trasformata poi in una scuola in cui i dirigenti scolastici pensano di essere, e in parte lo sono, dei dirigenti di un’azienda.  Un’azienda che ha a che fare non più con studenti, ma con iscritti da avere e dunque con campagne di promozione, gli open day per attirare clienti, offerte formative specializzate per accaparrarsi una clientela. Dentro questo ragionamento i presidi sono diventati dei dirigenti sempre più legati al ministero, sempre più legati, dunque, al governo. In questa prospettiva è stato inserito prima il PCTO, anzi prima l’alternanza scuola lavoro di Renzi e poi quest’ultimo. La scuola è diventata sempre più una palestra per preparare al lavoro e non per formare le persone i cittadini. Non è più un luogo di pensiero critico, ma un luogo di esecuzione di obbedienza, anzi: più esegui, più obbedisci, più sei premiato. Vengono premiati i dirigenti che eseguono, che obbediscono, i professori che eseguono, che obbediscono e gli allievi che eseguono e obbediscono. Qui arriviamo all’oggi, in questa scuola dirigista, di preparazione al lavoro in cui c’è una propaganda di fatto di stampo liberista. Noi abbiamo più che mai studenti che devono stare poi nel mondo del lavoro, del libero mercato, devono vendersi. Ebbene, ecco che appare la nuova propaganda per preparare la guerra. Siccome la guerra è la nuova frontiera che l’Unione Europea ci vuole presentare, i militari entrano nelle scuole con progetti per preparare di fatto gli studenti e le studentesse o ad arruolarsi, o a entrare nel mondo militare che vuole proporre vendere nuove professioni specializzanti, qualificanti, meglio retribuite di tanti altri lavori. Così di fatto si formano ragazzi e ragazze che sono sempre più dentro al sistema governativo, esecutivo.

A.D.: Storicamente la filosofia nasce come esercizio di disobbedienza intellettuale e dubbio sistematico. In un contesto in cui il dissenso studentesco viene spesso gestito come un problema di ordine pubblico anziché come un’istanza politica, come può un insegnante oggi legittimare il conflitto intellettuale senza esporre i propri studenti alla criminalizzazione o alla repressione? E ancora possibile insegnare la rivolta nel perimetro di una scuola che premia la docilità?

M.S.: La filosofia è dubbio. Bernard Russel diceva sempre che la filosofia serve a misurare il dubbio e la misura del dubbio. Dubitare per esistere, dubitare per decostruire. Il dubbio come elemento centrale della vita, dell’essere umani. E’ grazie al dubbio che noi abbiamo anche costruito i percorsi di emancipazione e di libertà del progresso politico. Il progresso delle scienze viene attraverso il dubbio. Questa “squadra in obbedienza” è una scuola in cui c’è poco spazio per dubitare, c’è poco spazio per il pensiero critico. Gli stessi autori, filosofi, letterati devono essere studiati quasi fuori da un contesto politico. Quante volte i ministri, ma anche molti opinionisti, ci dicono che la scuola non è un luogo politico! Invece quella è il luogo politico per eccellenza per una comunità. La scuola è un luogo dove si sta insieme, dove bisognerebbe decidere insieme, dove si prende un pezzo di responsabilità rispetto alla collettività e subito la scuola medesima deve darti gli strumenti per poter criticare la realtà, perché attraverso la critica della realtà la persona umana può emanciparsi, può liberarsi. Sappiamo però che una testa pensante, una testa ben fatta, è molto pericolosa per qualunque potere: economico, politico, religioso, culturale. Dunque pochi dubbi, tante false certezze, poco pensiero e tanto agire. Invece bisogna pensare per agire e agire pensando, secondo il detto di Marx: sinora i filosofi si sono limitati interpretare il mondo è giunto il momento di cambiarlo.

A.D.: Se la militarizzazione non è solo presenza fisica di divise, ma anche adozione di un linguaggio gerarchico e di una mentalità amico-nemico, quale contro-narrazione possono proporre docenti e studenti per riappropriarsi degli spazi democratici? Esiste una pratica pedagogica specifica che possa fungere da ‘scudo democratico’ contro l’erosione delle libertà civili all’interno e all’esterno delle mura scolastiche?

M.S.: Oggi gli spazi per la scuola democratica sono veramente pochi. Il linguaggio è un linguaggio sempre più di impresa, sempre più di competizione. La meritocrazia è l’ideologia che permette alle classi dominanti di perpetuare il proprio dominio su una società diseguale. Parlare di democrazia e di meritocrazia significa di fatto permettere a chi è già più avvantaggiato, chi è più ricco, chi ha più opportunità di continuare a dominare, occupare posti apicali di una società fatta, appunto, di disuguaglianza. Si è aggiunto il linguaggio del militare, anche il linguaggio del nazionalismo, basti pensare l’accento posto sulla storia dell’occidente contiene questa espressione proprio l’idea che bisogna prepararsi a battere a sfidare gli altri mondi: la Russia, l’oriente, il Maghreb o l’Africa. C’è l’idea, appunto, che noi abbiamo un primato, una cultura forte che è minacciata. In questo caso siamo di fronte a un paradosso: noi europei, occidentali che abbiamo conquistato il mondo, dominato il mondo, fatto guerre, razziato, rubato, soggiogato, ora vogliamo quasi raccontarci come dei minacciati che debbono difendersi da questi barbari che ci vogliono cacciare fuori dalla storia, che ci vogliono marginalizzare. Cosa si può fare? Si può ovviamente andare controcorrente. Bisogna disobbedire, non affrontare solo la storia occidentale, ma insegnarla in maniera critica; poi bisogna far leggere ai ragazzi in classe, più che mai usare delle pagine democratiche, coinvolgerli, farli partecipare, responsabilizzarli. Devono diventare protagonisti di progetti e non soltanto i fruitori di lezioni frontali.