Legge di bilancio: nuova austerità ai danni del paese e dei ceti popolari

La legge di bilancio del 2026, in continuità con quella del 2025, è prioritariamente costruita in funzione del rigore nel rispetto dei vincoli di Bruxelles assunti come elementi positivi per la tenuta economica del Paese. A suffragio di questa tesi dimostratasi errata nel passato vengono citati il calo dello spread e il miglioramento del giudizio delle agenzie di rating.

La conseguenza di questa visione sono politiche liberiste che accomunano questo governo ai precedenti molto attenti ai mercati finanziari, agli interessi dei grandi detentori del debito pubblico rappresentati in massima parte da società finanziarie e da una minoranza di cittadini che ha soldi da investire.

Gli enormi problemi dell’economia reale e le condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori e dei ceti popolari vengono ignorati e nascosti da una narrazione secondo la quale tutto va bene. Le cose non stanno così.

La crescita italiana è la metà della media europea, cinque volte più bassa di quella spagnola. Stiamo assistendo a processi consistenti di deindustrializzazione e a tre anni consecutivi di calo della produzione industriale.

La tanto millantata crescita dell’occupazione è costituita in massima parte da lavoro povero, di bassa qualità e con basso valore aggiunto che occupa lavoratori spesso precari e malpagati. I dati sui salari sono impressionanti: siamo ai livelli più bassi in termini di potere d’acquisto reale da 30 anni, con un calo del 9% dal 2021.

La sanità, la scuola e i servizi pubblici sono ridotti allo stremo da decenni di tagli di risorse e personale fatti sempre in ossequio ai vincoli di bilancio portati avanti con la precisa funzione di distruggere tutto ciò che è pubblico a vantaggio del privato. Mi fermo qui, potrei andare avanti, ma questi elementi rendono già chiaro come la situazione reale del Paese sia ben diversa da come viene raccontata.

Oltretutto occorre tener conto che la situazione attuale, già drammatica, è stata in parte mascherata dal PNRR senza il quale le cose sarebbero andate persino peggio, e rischieremo di trovarci in recessione.

Questa nuova manovra di per sé è molto modesta (16 miliardi, originari, ora in lieve aumento, 10 dei quali in tagli (ai servizi e agli stipendi pubblici). La cosa più grave di fronte alla condizione drammatica dell’economia nazionale, confermata dallo stesso governo nel Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP) è che la manovra non avrà nessun impatto sul PIL del 2026, come se non ci fosse.

Per analizzare la manovra in tutti i suoi aspetti occorrerà attendere che finisca il gioco dei baratti tra i partiti che compongono la maggioranza di governo, ma alcuni elementi sono già noti.

L’intervento principale rivendicato da tempo sarà la riduzione delle tasse per i redditi tra i €35.000 e i €50.000, che si tradurrà in guadagni mensili risibili (circa €3 per chi guadagna €32.000 e 440 euro per chi ha un reddito di 50 mila. A oggi sembra assodato che chi guadagna meno di €28.000 non avrà alcun vantaggio fiscale nonostante i benefici avuti con i precedenti interventi sul cuneo fiscale, poi trasformati in parte in detrazioni, siano stati in gran parte annullati dal fiscal drag che ha permesso allo stato di incamerare tra il 2022 e il 2024 ben 25 miliardi.

Non si interviene sulla progressività e l’equità del fisco, pagato per l’80% da lavoratori dipendenti e pensionati, grazie alle flat tax che hanno sottratto alla tassazione IRPEF molti miliardi e intere categorie di contribuenti e di redditi

L’altra cosa certa è un’altra rottamazione delle cartelle esattoriali, la quinta dal 2016, un’altra regalo agli evasori e una nuova spinta ad evadere. Un’operazione a fini di consenso elettorale contro cui a nulla vale il suo effetto antieconomico per lo stato poiché a fronte di sconti fiscali non incentiva una maggiore fedeltà fiscale. Basti dire che nelle ultime 4 rottamazioni degli 81 miliardi millantati ne sono entrati solo 48.

Sulle pensioni continua la progressiva applicazione della Fornero oltre la Fornero: svanite le promesse di bloccare l’adeguamento alle speranze di vita, l’innalzamento di tre mesi dell’età pensionabile viene semplicemente diluita distribuendolo in 3 anni e varrà non solo per la pensione di vecchiaia ma anche per quella di anzianità.

Le previsioni di spesa sulla sanità confermano i 4 miliardi già stanziati e il ministro promette di aggiungerne altri 2, ma ricordiamo che dei 4 promessi lo scorso anno ne arrivò uno solo. Cifre irrisorie che mantengono nella migliore delle ipotesi la situazione attuale gravemente al di sotto delle necessità sia sul piano delle strutture che del personale.

Per quanto riguarda i salari permane il rifiuto secco di introdurre il salario minimo, l’unica misura in grado di affrontare in modo strutturale il tema del lavoro povero e delle disuguaglianze tra lavoratori mentre si ipotizzano misure finalizzate a favorire con sconti fiscali il welfare aziendale e i presidi produttività, giocate per depotenziare sempre più i contratti.

In attesa di vedere concretamente le misure in cantiere occorre mettere l’attenzione sull’accentuazione dell’austerità che emerge dalle cifre del DPFP su cui si basa questa legge di bilancio.

È previsto un aumento del surplus primario (la differenza tra tasse e spesa al netto degli interessi) dallo 0,9%del 2025 all’1,2 del 26, all’1,5 del 27 per giungere all’1,9% del PIL nel 202, ovvero un aumento dell’1% del PIL di austerità per definizione. Il che significa che circa 130 miliardi che entrano nelle casse dello stato non si tradurranno in spesa pubblica. Tradotto: meno investimenti pubblici meno welfare, meno diritti.

Ancora più grave è il fatto che questo rilancio massiccio dell’austerità ai danni di un corpo sociale e di un’economia ampiamente provati da decenni di politiche neoliberista è in funzione del riarmo, imposto dalla NATO e dagli Stati Uniti, che il nostro governo ha accettato. Nei prossimi 3 anni sono previsti circa 22 miliardi di spese per le armi, 12 miliardi in più a regime; un primo assaggio dell’enorme aumento di spese militari previste in aumento fino al 5% del PIL entro in 2035.

Tralasciando la critica alla follia della corsa alla guerra che sta alla base di queste scelte va chiarito che la gran parte dei miliardi impegnati andrà alle industrie militari Usa e che quella piccola parte che finirà alle industrie europee produrrà sull’economia del nostro Paese effetti positivi molto inferiori di quelli che produrrebbe spesa sociale e investimenti pubblici mirati.

Va ricordato in conclusione che questi danni all’economia prodotti nell’illusione tipica del dogma neoliberista che l’austerità migliori i conti pubblici e l’economia mentre nello stesso DPFP si scrive che nel triennio il rapporto debito pil rimarrà praticamente invariato.

La stessa Banca d’Italia stessa dimostra che investimenti pubblici finanziati in deficit portano a un rapporto debito/PIL che scende grazie alla maggiore crescita generata.