Tratto da Visto da qui – di Francesco Sciarra
Da oltre trent’anni i governi, pur restando azionisti di maggioranza di Poste S.p.A., portano avanti un processo di privatizzazione che ha un solo risultato: smantellare il servizio universale, ridurre il costo del lavoro e alimentare un esercito di precari.
La chiusura degli uffici territoriali, l’appalto delle attività considerate “non remunerative”, i tagli occupazionali e i carichi di lavoro sempre più pesanti hanno peggiorato le condizioni di salute, sicurezza e salario dei lavoratori.
Tutto questo mentre l’azienda fonda i propri profitti su un meccanismo indegno: il precariato.
Con oltre 40 tipologie contrattuali precarie istituite da vari governi, Poste ha costruito un sistema di lavoratori “usa e getta”, indispensabili per coprire le falle di organico, ma mai stabilizzati. Giovani e meno giovani che reggono interi reparti, senza ferie né malattia, continuamente ricattabili.
I sindacati confederali parlano di assorbimenti parziali e graduali, compatibili con i dettami aziendali. In realtà difendono un modello che mantiene intatto lo scandalo delle piante organiche scoperte per alimentare profitto e clientele. Ma i lavoratori non ci stanno: comitati di precari e sindacati di base rivendicano stabilizzazione per tutti i CTD, nessuno escluso.
La partita non è solo dei precari. Anche i lavoratori stabili hanno tutto l’interesse a battersi contro un sistema che, se non fermato, trasformerà ogni posto di lavoro in precariato generalizzato, abbassando diritti e salari di tutti.
Per questo è nato un disegno di legge di iniziativa popolare che pone alcuni punti fermi:
- copertura completa degli organici in CMP, centri di recapito e sportelleria, con turn over al 100%;
- stabilizzazione di tutti gli ex CTD tramite l’esaurimento delle graduatorie esistenti;
- divieto di nuove assunzioni a termine fino all’assorbimento totale dei precari;
- creazione di un comitato di controllo indipendente sul percorso di stabilizzazione.
Stabilizzare i CTD significa riaffermare la funzione pubblica del servizio postale, garantire pensioni dignitose ai portalettere che hanno già dato una vita di lavoro, aprire prospettive concrete per migliaia di giovani oggi costretti al ricatto della precarietà.
La strada è chiara: non aspettare concessioni dall’alto, ma unire le lotte. Solo così potrà cadere l’impianto di riduzione dell’occupazione che ha devastato Poste e aprire finalmente una stagione di stabilizzazione e diritti per tutti.